Recensione su Nymphomaniac: Volume I

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22 Aprile 2014

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Non si dovrebbe scrivere una recensione su un film di cui praticamente ne è stata vista solo la metà, non fosse altro che le intenzioni del regista non vengono chiarite né si sa dove voglia andare a parare. Tuttavia quello che si potrebbe fare, nell’attesa del secondo volume, è quanto meno tentare una personalissima ipotesi di interpretazione.
Quello che più mi ha sorpreso e in un certo senso ritengo il centro di questo primo volume, è il “senso di colpa” un po’ contradditorio della protagonista. Dico contradditorio e metto le virgolette non tanto per la freddezza e la quasi assenza di emotività della protagonista nel raccontare la sua storia, ma soprattutto perché, per sua stessa ammissione, Joe è senza empatia verso le persone che necessariamente le sue azioni porteranno a danneggiare (“Non si può fare una frittata senza rompere le uova”). Nonostante ciò la nostra ninfomane non fa che ripetere di essere un pessimo essere umano e della peggior specie: una convinzione, non solo eccessivamente auto-colpevolizzante (che subito ci fa simpatizzare con lei) ma anche del tutto razionalizzata, priva,cioè, di una vera risonanza emotiva.
La mia interpretazione è che nel finale (che in realtà è circa metà film) si comincia a intuire la vera natura di questa senso di colpa. Il primo volume finisce con una Joe che durante un rapporto sessuale con l’unico uomo amato, ammette angosciosamente di “non sentire nulla”. Ed è questo il “non detto” che attraversa tutto il film e che coglie quella che dovrebbe essere la definizione stessa della Ninfomania. Come, a ragione, cita Joe la Ninfomania è: “Il non essere mai soddisfatti e quindi fare sesso con molte persone diverse”.
Tuttavia, allo stesso tempo, il finale offre anche una (tragica) forma di redenzione: è vero che il singolo atto sessuale non riesce a soddisfare, acconsente Joe, ma prosegue: “(…) ad essere sincera io vedo solo la somma di tutte queste diverse esperienze sessuali, quindi in questo senso ho avuto un solo amante”. La ninfomania ci viene presentata così in una veste tragica: Joe è costretta a desiderare un’astrazione. Astrazione che nel singolo e nel particolare non si trova, ma si trova solo nella loro “somma”. Proprio come una polifonia formata da tre voci, dove quella della persona amata ne costituisce soltanto il “cantus firmus”. Ma mentre le polifonie di Bach si possono ascoltare, il desiderio di una ninfomane sembra destinato a restare insoddisfatto in un circolo che si perpetua all’infinito, perché l’oggetto del desiderio non può essere e non sarà mai nel singolo.
Da un lato un desiderio che, non potendo godere del concreto è destinato, per dirla con Sartre, “allo scacco”; dall’altro il senso di colpa che comporta l’utilizzare i singoli come “tessere di un puzzle” per una polifonia più ampia.
Sotto questo aspetto, e non senza un velo di ironia, si può addirittura sostenere che quello di Joe è un desiderio platonico.

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