Vampiri / 7 Agosto 2017 in L'amante giovane

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Mi imbatto praticamente per caso in questo film di Maurice Pialat, regista francese a me finora sconosciuto, attirata dalla presenza di Marlène Jobert.
La relazione amorosa raccontata attinge alle vicende personali di Pialat, che trova il suo alter ego in Jean (Jean Yanne, villoso attore d’Oltralpe che, per questa interpretazione, venne premiato a Cannes).
Un cineasta quarantenne (Yanne), separato in casa, un po’ avaro e decisamente manesco, frequenta da anni una ragazza più giovane di lui (la Jobert): la loro storia si trascina in un lungo ed estenuante tira e molla, finché…
Finché, dopo botte, insulti, litigi e rappacificamenti, rose, anelli e “Non lo farò più”, la ragazza non decide di trovare di meglio. Il che non era difficile da ipotizzare, a dirla tutta, vista la risma del soggetto. Ma ce n’è voluta, eh…
E via così, a succhiare linfa vitale l’uno dall’altro, come vampiri, in una relazione volutamente complicata, destinata a cristallizzarsi in questo incerto va e vieni, senza sbocco, senza risoluzione, senza felicità. Perché è chiaro che alcuno, in questo ménage, è sereno, ma sembra votato a un sentimento egostico (sviluppato da entrambe le parti) e alla cieca autodistruzione.

Benché profondamente coinvolto nella vicenda, Pialat racconta la storia con freddezza e oggettività, rendendo accattivante un plot altrimenti banale nella sua drammaticità. Quello descritto, infatti, è un rapporto sbilanciato a favore del protagonista maschile, caratterizzato da una ingiustificabile violenza fisica e verbale reiterata nei confronti di quello femminile.
La minutissima e puberale Jobert è perfetta nel ruolo di Catherine, una ragazza soggiogata psicologicamente da un uomo imprevedibile, caratterialmente instabile, capace di offenderla in mille maniere, anche in pubblico, perfino dinanzi ai suoi genitori, certo di restare impunito, grazie all’amore che a lei cola letteralmente dagli occhi.
A sua volta, come si apprende nelle battute finali del film, il rude Jean è anch’esso vittima di una forma mentis derivata dall’ambiente famigliare precario in cui è cresciuto. Sebbene il comportamento degli altri personaggi paia giustificarlo, alla fin fine, è inevitabile, al di qua dello schermo, giudicarlo negativamente e biasimarlo: cosciente dei propri difetti, si rifugia nella fedeltà ferina di Catherine.
Ciò che strabilia, a un certo punto, è il fatto che egli diventi vittima della scelta liberatoria della ragazza. La moglie da cui è separato si fa addirittura tramite fra lui e la famiglia di Catherine per tentare di ricucire il rapporto adulterino.
Confesso che, a questo punto del film, pur affascinata dalla natura del triangolo, ero basita.

Bravo Pialat, interessante narratore.

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