Amarcord non riuscito / 7 Ottobre 2019 in Notti Magiche

Possibile che questo sia un film di Paolo Virzì, di quel Virzì che mi piace tanto per il suo modo di raccontare “all’italiana”, sulla scia della migliore commedia nostrana? Secondo me, Notti magiche è il film peggiore della sua filmografia, finora. Già “il film americano”, Elle & John, non mi aveva entusiasmato. Ma questo… Questo vorrebbe essere un amarcord che guarda con una certa tenerezza al giovane Virzì agli esordi in quel di Roma miscelato alla rappresentazione volutamente contraddittoria, un po’ arrabbiata, un po’ affettuosa, di un certo “giro cinematografico” che lavora(va?) in bilico tra supponenza, lavoro a cottimo e nostalgia per i tempi che furono.

Il risultato, a parer mio, è un film pasticciatissimo, scritto (pardon) male (eppure, ci ha lavorato il solito e ormai solido terzetto: Virzì, Archibugi, Piccolo), fotografato dal pur bravo Vladan Radovic con un incongruo giallo cacarella (cit. dallo stesso film) e interpretato in maniera alquanto discutibile dal terzetto di giovani attori protagonisti, con menzione speciale per Mauro Lamantia alias Scordia, alle prese con una scolorita copia (penso, voluta) di un personaggio à la Nicola Palumbo di Satta Flores in C’eravamo tanto amati di Scola (e non è un caso che i protagonisti siano due maschi e una femmina che legano improvvisamente, rimarcando così anche vaghe ma vane rimembranze di Godard e Bertolucci).

Peccato gigante: Roma è rappresentata da Virzì come in un film non italiano, non so come se lo avesse girato Woody Allen (vedi, To Rome With Love), con una Trastevere di cartone, artigiani (artigiani! Se non sbaglio, c’è perfino un tizio in strada che affila i coltelli con una mola di pietra! Neanche fossimo ne Il Marchese del Grillo) e fruttaroli nelle vie, Vespe in ogni angolo, suore e preti che sbucano strategicamente dal fondo delle inquadrature con vesti iconografiche al limite dell’inverosimile. Perché tanto didascalismo? Davvero non c’era altro modo di rappresentare la Roma dei primi anni Novanta?

Complice il sonoro in presa diretta, i dialoghi sono poco comprensibili, sempre affrettati, affannosi, e, anche a causa di una dissennata scelta degli autori, si fatica a contestualizzare fatti e persone. Non ho compreso come mai, infatti, alcuni personaggi siano citati con nomi e cognomi reali (vedi, Marcello Mastroianni o Federico Fellini) e altri (praticamente, tutti i membri del “circolo degli sceneggiatori”) ricordino persone realmente esistite ma che, qui, sono diventate altre, con altri nomi. Vada per l’omaggio generale in una botta sola a una schiera di professionisti che hanno fatto la storia del cinema italiano, ma, accidenti, con tutta la buona volontà, non si capisce nulla (chi è chi e perché è chi?) e si finisce per apprezzare poco dello spirito (ir)riverente del film.
A proposito: perché far interpretare alla Ornella Muti di oggi la Ornella Muti di 30 anni fa?

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