Nostalghia / 17 Agosto 2015 in Nostalghia

Il penultimo film di Andrej Tarkovskij è una produzione italo-russa, coprodotta dalla RAI – quando la RAI sfornava ancora cose di questo genere, prima di dedicarsi quasi interamente alle fiction (un po’ come la Olivetti, che abbandonò i computer per il più lungimirante settore delle macchine da scrivere).
Girato in Italia, tra la Toscana e il Lazio, e sceneggiato insieme al mitico Tonino Guerra, il film costituisce una summa dell’opera e dell’estetica tarkovskijana, anche se c’è da dire che ciò nel mondo del cinema non è sempre sinonimo di riuscita del prodotto.
Le umidicce ambientazioni stalkeriane si mescolano alle tematiche nostalgiche già esplorate in Lo specchio, per giungere ad un finale che richiama quasi esplicitamente il Solaris di oltre dieci anni prima.

Parafrasando Calvino, per Tarkovskij il set è “un posto dove ci piove dentro”. Ambientazioni affascinanti, sia chiaro, ma che a volte sembrano mancare di significato, risolvendosi in una pur abbagliante estetica che è vera e propria poesia dell’immagine.
Le scene più visivamente stimolanti si spostano dalla splendida Val d’Orcia (le terme di Bagno Vignoni), alle spettrali rovine dell’abbazia di San Galgano, fino alla suggestiva chiesa allagata di San Vittorino a Cittaducale.
Il tema centrale è quello che da il titolo alla pellicola: è la nostalgia del poeta russo in viaggio in Italia per scrivere una biografia di un musicista russo del Settecento. Ma anche quella della traduttrice ed interprete che lo accompagna, in cerca non si sa bene di cosa.
L’intreccio tra scene del quotidiano e memorie dell’infanzia del protagonista richiamano, appunto, Lo specchio, con il tema nostalgico che si esprime nelle ricordanze della dacia in mezzo alla campagna, che nel finale viene idealmente spostata all’interno dell’abbazia di San Galgano (così come nell’epilogo di Solaris la dacia giaceva sopra una delle isole sull’oceano pensante del misterioso pianeta).

Altro tema importante in Nostalghia è quello della follia: lo scrittore incontra Domenico, famoso in città per aver rinchiuso la propria famiglia per sette anni dentro casa in attesa di una fantomatica fine del mondo. Nel finale Domenico si trova a Roma ed arringa una folla di matti compiendo infine un gesto disperato, mentre si trova sulla statua di Marco Aurelio al Campidoglio, come a voler richiamare l’attenzione di un mondo che ignora il diverso, o come a voler da solo dare vita a quell’apocalisse tanto attesa.
Una trattazione anche in questo caso misteriosa, quella della follia, che si fonde con il tema del sacrificio, che il protagonista compie nel finale eseguendo quell’oscuro rituale che proprio il matto gli aveva indicato come via espiativa: l’attraversamento della piscina termale, ormai vuota, con una candela in mano, oggetto di un meraviglioso, dolorosissimo piano sequenza.

Nostalghia è un film intenso e faticoso, come tutte le pellicole di Tarkovskij.
Un’opera ermetica, con un finale destabilizzante, a chiusura di una lunga, estenuante attesa.
La sensazione di dejavù rispetto agli altri suoi film, che costituisce probabilmente il principale aspetto critico dell’opera, è compensato da un’estetica incantevole e, a tratti, commovente.

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