Recensione su L'incredibile vita di Norman

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Originale e peculiare / 11 Marzo 2018 in L'incredibile vita di Norman

Fin dal titolo originale, Norman: The Moderate Rise and Tragic Fall of a New York Fixer, il film di Joseph Cedar tradisce una natura farsesca e un impianto letterario e teatrale basato su una suddivisione in capitoli/atti.
Questo assunto viene tradito in parte dal titolo italiano, L’incredibile vita di Norman, che sembra suggerire ben altro, una serie di avventure à la Walter Mitty per intenderci.
In realtà, e non a caso, Norman è una parabola e, come tale, attinge a piene mani dalla cultura israelita a cui appartiene Cedar.
In questo senso, il film contiene una serie di riferimenti antropologici e culturali peculiari, alcuni mostrati esplicitamente (es. l’uso della rete di parentele e conoscenze che, a dispetto della diaspora, sembra legare tutte le famiglie ebree esistenti ma a cui sembra estraneo il misterioso protagonista; la somiglianza dell’intera vicenda a quella tradizionale dell’ebreo cortigiano), altri celati in profondità, come elementi di una simbologia percepibile ma incomprensibile a chi, come me, non conosce a sufficienza la tradizione ebraica.

Oltre che per la sua fondamentale e affascinante componente antropologica, il film di Cedar si distingue per la complessa caratterizzazione del protagonista, esaltata dall’ottima interpretazione di Richard Gere, probabilmente la più interessante della sua carriera.
Norman Oppenheimer è un mistero ambulante. Irrompe sulla scena proponendo complessi affari finanziari, distinguendosi come un uomo insistente, quasi untuoso. Lentamente, si apprende della sua smania di costruire reti di conoscenze basate sui puntelli della comunità ebraica, ovvero religione (la sinagoga), economia e politica (il ruolo di Israele nel contesto geopolitico internazionale). Anche se, in alcune occasioni, parla apertamente di profitto, il suo obiettivo non sembra quello strettamente economico. Norman pare alla spasmodica ricerca di affermarsi all’interno della comunità ebraica e, per estensione, della società nel suo complesso. Perché? Erra alla ricerca di un riscatto, sempre sul filo del fallimento totale.
Di Norman non viene mai mostrata la casa (ne ha una? Vi fa mai ritorno?) e le sue parentele sono incerte, al limite della leggenda.
La sua generosità non è disinteressata, eppure quest’uomo è capace di sacrifici di portata incalcolabile proprio nel momento in cui non può ottenere un tornaconto.

La natura di Norman è pienamente e interamente umana e, come uno specchio, è in grado di mostrare umane (e, per estensione, fallaci) tutte le persone che lo circondano, dal rabbino (Buscemi) al politico israeliano (Ashkenazi). Infine, anche Norman è soggetto a un gioco di specchi: chi è realmente l’appiccicoso individuo che, improvvisamente, inizia a seguirlo, proponendosi a lui con le sue stesse, identiche tecniche, senza che Norman si renda conto della somiglianza?

Nel complesso, un film stimolante e originale nei toni e in alcuni accorgimenti tecnici, che, vista l’emblematicità e le origini misteriose del suo protagonista, mi ha ricordato vagamente 6 gradi di separazione (1993) di Fred Schepisi.

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