Recensione su Non aprite quella porta

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Macabro e disturbante. 7,5 / 3 Agosto 2021 in Non aprite quella porta

Precursore dello slasher, “Non aprite quella porta” ha saputo dare forma a un genere che nel 1974 ancora non esisteva. Primo merito della pellicola, dunque, è l’aver introdotto elementi sperimentali e innovativi nel cinema horror, che si sarebbero poi cristallizzati qualche anno più tardi in centinaia di altri film.
La storia è caratterizzata da un inquietante che diventa macabro e si sviluppa inarrestabile in un crescendo di angoscia. È un climax ben bilanciato, seppur definito da una frettolosità che è sicuramente perdonabile, dato il contesto.
Da aggiungere c’è ben poco, poiché il film punta principalmente sull’aspetto visivo, spettacolarmente disturbante e sconvolgente, ma lo fa in modo sapiente e credibile, lasciando il giusto spazio all’immaginazione e portando coraggiosamente sullo schermo una scenografia, e non solo, alla Ed Gein.

Piuttosto, è doveroso soffermarci sull’identikit di Leatherface, il quale, seppur privo di approfondimento psicologico, risulta essere uno dei villain più interessanti della storia dell’horror. Su di lui vengono forniti pochi elementi, ma sufficienti a darci un’idea del possibile profilo psicologico del personaggio: dal cambio delle maschere che coincide con un cambio di personalità, alla difficoltà di esprimersi e alla voce acuta, passando per i maltrattamenti subiti dal padre. Tutti fattori che ci aiutano a esplorare la mente complessa e malata del personaggio, contribuendo a farci intuire il suo background problematico. Da subito feroce e violento, l’aura da “cattivo che tutto può” viene ben presto demolita. Leatherface è la forza fisica, la forza animale, ma accanto a suo padre e suo fratello diventa una bestia bistrattata e soggiogabile, palesemente affetto da deficit cognitivi che rendono la sua una figura debole in famiglia. Eppure questo non lo ridicolizza, anzi, l’ambiente malsano in cui vive e la sua condizione lo rendono più raccapricciante. È più disturbante, perché più disturbato.

Il conturbante impatto visivo prevale su una sceneggiatura un po’ scarna, punto debole del film.

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