Recensione su Nomadland

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Tra fiction e documentario / 4 Luglio 2021 in Nomadland

Nomadland, film Leone d’Oro 2020, Golden Globe 2021 regia-film e Oscar 2021 per regia, film e attrice protagonista (Frances McDormand) è erede diretto della tradizione orale e narrativa degli Stati Uniti (è significativo e, a parer mio, curioso che, a portare in scena questo cugino delle opere di Steinbeck, McCarthy e compari vari sia una regista di nascita cinese, Chloé Zhao, ma, nella sua filmografia, prima di questo film, c’erano già diversi lavori che dimostravano una netta propensione al racconto della ruralità americana).
Un personaggio del film, la sorella della protagonista, paragona la vita del personaggio della McDormand a quella dei pionieri: mentre guardavo il film, ho pensato subito a questa cosa anch’io, riflettendo sulla nascita relativamente recente del Paese, su certi libri americani letti, su certe canzoni statunitensi. Tra l’altro, mi ha fatto venire in mente che non ho mai terminato di leggere il saggio Leggende del deserto americano di Alex Shoumatoff.

Detto questo e tolte la bella prova della McDormand e la buona commistione di finzione e realtà documentaria, Nomadland mi è sembrato un film abbastanza interessante ma non epifanico, dal punto di vista tecnico o narrativo. Mi pare che, però, scivoli troppo spesso nell’idealizzazione e nella semplificazione. Certo, induce a riflessioni sul concetto di identità, appartenenza, possesso e stimola ad apprezzare le cose essenziali della vita: affetti, emozioni, esperienze.
Ma, di questi tempi, secondo me, non è poi una grande novità imbattersi in racconti cinematografici che sollecitano una presa di coscienza sulla realtà.

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