ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
Vi è mai capitato di sentirvi “una storia triste”?
Credo sia un pensiero che, prima o dopo, ha sfiorato un pò tutti, soprattutto nella fase dell’adolescenza.
Il film tratta di temi sufficientemente importanti e “pesanti”, quindi non siamo di fronte ad una storia di semplici drammi adolescenziali, ma, va detto, viene facile immedesimarsi nel senso di smarrimento e profonda immobilità che affligge il protagonista, al di là del suo background complicato, che, chiaramente, non sarà comune a moltissimi.
Si parla di elaborazione del lutto, molestie, depressione, accettazione delle diversità, pregiudizi.
Sembra tanta “roba”, e fondamentalmente lo è. La carne al fuoco è molta.
Ma il film riesce a trattare tutti questi temi in modo sufficientemente misurato ed equilibrato, senza sbilanciarsi troppo su uno perdendo di vista gli altri. E ci offre, in tutto questo, lo sguardo malinconico ma sognante del tenero Charlie, adolescente in bilico, tra una mente viva e creativa e una profonda alienazione.
E’ dunque apprezzabile la gestione dei diversi perni intorno cui ruotano le vicende di questo particolare gruppo di adolescenti, ognuno con il proprio fardello di esperienze, forse un pò troppo pesante vista l’età, ognuno in cerca di qualcosa, prima di tutto dell’accettazione della propria identità e del proprio relazionarsi con gli altri.
Fin qui niente di nuovo all’orizzonte, niente che non si sia già visto in molti altri film, buoni o meno, del genere.
Ma la forza del film non è certo la sua originalità.
A piacermi, tanto da pensare di dargli un 7, che per me è un buon voto, è stata soprattutto la caratterizzazione del protagonista, a mio parere interpretato molto bene da Logan Lerman che, fino ad ora, non mi aveva mai fatto nè caldo nè freddo.
Charlie è un ragazzino problematico, con un equilibrio psicologico già compromesso e più di qualche “fantasma” che lo tormenta. Non ha amici, scrive lettere ad un amico che non c’è più (o forse, il dubbio mi ha sfiorato, non c’è mai stato) e legge molto. Il ritratto del perfetto nerd, ovviamente emarginato a scuola, con tutti i clichè del caso sull’argomento, incluso primo terribile giorno di liceo.
Ma Charlie è ben più di questo, porta dentro un dolore difficile da esprimere nella limitatezza delle parole, che lo perseguita anche da sveglio, regalandogli raggelanti istanti di confusione tra presente e passato, tormentandolo con allucinazioni devastanti e, ovviamente, rendendolo un emarginato ai suoi stessi occhi.
Tutto questo è reso in modo davvero convincente, sia visivamente, attraverso le allucinazioni di Charlie, sia attraverso la sua gestualità, i suoi monologhi interiori o le sue interazioni con gli altri.
A cambiare, almeno “superficialmente”, la vita di Charlie è l’incontro con Patrick e Sam, due compagni di scuola all’ultimo anno, che, con una sensibilità e una nonchalance disarmanti, proprie di chi è privo di pregiudizi, lo accoglieranno nel loro gruppo di amici, facendogli scoprire, per la prima volta, cosa si prova a passare da elemento di tappezzeria ad un festa a vivo partecipante dell’euforia generale. Dal muro al divano, mi verrebbe da dire.
Il film prosegue esplorando le relazioni tra i protagonisti e, attraverso queste, i mondi interiori di ciascuno, soffermandosi, ovviamente, sul percorso di Charlie.
Ma non si tratta di un film di formazione, non ci mostra un ragazzino diventare uomo attraverso la conoscenza di persone anticonvenzionali e libere. Tutt’altro.
Il film ci dice che non si può veramente “partecipare” di ciò che di meraviglioso ci accade e ci circonda fino a quando non si fanno i conti con i nostri demoni personali, che, e questa è una verità universale, si possono chiudere per un pò in soffitta, lontano dal nostro cuore, ma al primo sconvolgimento interiore che la vita ci offrirà torneranno da noi più forti di prima.
I fantasmi del nostro passato dobbiamo affrontarli, superarli, lasciarli indietro. Solo allora potremo capire di non essere solo “una storia triste” e potremo iniziare a “partecipare” di ciò che ci circonda e ci accade, e dell’infinità della condizione umana. Perchè, come uomini, siamo limitati solo corporalmente, ma siamo dotati di infinite possibilità.
Un messaggio che mi ha colpita nella sua essenziale semplicità, ed è arrivato diretto a toccare corde molto precise dentro di me.
Lo consiglio.
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