Recensione su Noi

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Quelli che benpensano / 7 Aprile 2019 in Noi

Dopo Scappa: Get Out, Oscar 2018 per la miglior sceneggiatura originale e svariati altri premi di rilievo, Jordan Peele è tornato con Noi, un altro horror politico che prova a mettere il pubblico a disagio non tanto attraverso i cliché del cinema di genere (che, pure, vi sono e in abbondanza), quanto imponendo svariate riflessioni sulla società contemporanea. A differenza del film precedente, a mio parere particolarmente geolocalizzato e concentrato su questioni peculiari esacerbatesi nell’America di Trump, Peele prova a coinvolgere più profondamente le platee di tutto il mondo.

Chi è il nostro peggior nemico? Nell’affannosa ricerca del capro espiatorio (un concetto che, puntualmente, tanto mi ricorda La strega e il capitano di Sciascia), tendiamo a escludere il primo e più elementare indiziato: noi.
Frankie hi-nrg canta da più di 20 anni che le persone da biasimare, quelle di cui avere davvero paura, sono intorno a noi, in mezzo a noi, in molti casi siamo noi. Sembra che Peele abbia ascoltato Quelli che benpensano e se ne sia procurato un’accurata traduzione per tirare giù la sceneggiatura di Noi. Nel film di Peele, c’è davvero tutto quello di cui parla il rapper italiano: l’invidia, l’ipocrisia, la messinscena, l’incapacità di fare i conti con se stessi e la propensione a incolpare “gli altri” (altri noi, in realtà) di tutto quel che ci provoca fastidio o disagio. E, perfino, l’esistenza di una controparte giudicante che si nasconde sulla faccia oscura della loro Luna nera.

A parte ciò, il lavoro di Peele è ampiamente metaforico e ricco di simboli, a partire da un versetto biblico (Geremia, 11-11) citato ripetutamente fin dalle prime sequenze del film, bozzolo in cui -fin dal suo “aspetto”- è contenuto ogni susseguente sviluppo narrativo, concetto di doppelgänger incluso, e, forse, sprofonda un po’ troppo in questa metafora fin troppo evidente e lineare, forzando molte cose pur di aderire al comunque efficace assunto del film.
Peele prova a eviscerare il problema in ogni suo aspetto, usando anche una certa ironia (dopo l’iniziale spavento, la famiglia protagonista sembra assuefarsi in fretta all’uso della violenza, adattandosi presto alla sequenza di eventi surreali in cui è coinvolta, aderendo presto alla logica illogica di un mondo doppiamente rovesciato).

Efficace il plot twist e bravo il cast. Lupita Nyong’o ha un paio d’occhi che fanno i tre quarti del gioco di Peele.

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