Recensione su No - I giorni dell'arcobaleno

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15 Maggio 2013

Probabilmente è una questione di aspettative, ma un film che narra del passaggio, incruento, da una dittatura alla democrazia pensi che non possa non essere appagante. E invece di un racconto esaltante di come una nazione si è riappropriata della libertà ti trovi davanti l’analisi del meccanismo di persuasione pubblicitario che manipola tutto, semplifica tutto, travolge tutto e, per noi italiani, lo spiattellamento della strategia politica degli ultimi vent’anni del nostro paese. Impossibile non pensare che l’unica fortuna che il Cile ha avuto è che dietro alla brillante campagna elettorale che portò alla vittoria del no nel plebscito su Pinochet ci fosse un obiettivo meritorio, una nobile causa e non l’idea del mantenimento della dittatura.
Il film non si limita a narrare come fu pensata la campagna pubblicitaria (non si può definirla altrimenti), ma brevemente entra dentro le due parti che si confrontano: l’una la dittatura che pecca di sicurezza, di scontata protervia dato l’esercizio violento e continuato di un potere che si è sedimentato e normalizzato per 15 anni, ma che mai perde di vista cosa realmente sia, ovvero il mantenimento della forza economica di una parte, piccola, della società sulla stragrande maggioranza dei cittadini tenuti su un livello di magra sussistenza (“ognuno può diventare ricco, attenzione qualcuno, non tutti, ma tutti vogliono essere quel qualcuno”); l’altra l’opposizione, variegatissima e tacciata, tutta, di marxismo/comunismo (ricorda qualcosa?), attanagliata da discussioni continue perché quasi nessuno di loro vuole vincere per vincere, ma vuole vincere solo a patto di Convincere gli elettori di essere nel giusto (ricorda qualcosa?), solo se la consapevolezza raggiunge quello stadio di maturità tale da aver di fronte un cittadino maturo.
E poi c’è il pubblicitario, il mezzo, lo strumento che agisce neutro rispetto al contenuto della campagna: identificazione del prodotto; creazione del prodotto; semplificazione; manipolazione. E quindi eliminazione di ogni approfondimento, censura sul lato “brutto”, ma vero (dov’è la realtà?) delle motivazioni al no del plebscito, creazione di una idea immateriale attraente, spensierata, irrealistica, l’applicazione puntuale del meccanismo di vendita di una bibita insomma insistendo sulle reazioni pavloviane delle emozioni base dell’uomo (non a caso il parallelo che vediamo è fra la prima campagna pubblicitaria pura che mira a vedere una coca cola e la sua replica sul no alla dittatura, un oceano di differenza ideale, stesso meccanismo manipolativo). E qui lo spettatore italiano rimane sgomento, perché più jingle vengono pensati, più soli nascenti vengono inquadrati, più famigliole felici vengono scelte per girare gli spot (i cileni saranno bassi e scuri, gli attori degli spot sono alti e biondi, che importa) e più vedi il 1993 materializzarti davanti.
E vedi il pericolo, vedi il baratro. Perché l’ex moglie del pubblicitario sarà anche odiosa, estremista e massimalista e fosse stato per lei Pinochet avrebbe probabilmente vinto, ma lei è il grillo parlante, schiacciato dalla storia e consapevole. E più monta l’entusiasmo più il film si fa preoccupante, più i colori brillano, le trovate si fanno accattivanti, l’umorismo e l’ironia diventano irresistibili, più ti raggeli.
Il nocciolo del film è il tema della realtà e della verità e della sua importanza nella nostra contemporaneità: la realtà sparisce, la verità è fastidiosa, è brutta, è la percezione e l’emotività che sono importanti e di conseguenza la capacità di gestirli e manipolarli. Il mezzo migliore degli ultimi trent’anni è stata la Tv (non si vedono manifesti, solo qualche maglietta, tutto si gioca sul medium televisivo) specchio deformante dei desideri, delle aspirazioni di diverse generazioni. Di conseguenza il finale è parimenti terribile, lo spot pubblicitario che coinvolge il massimo divo delle telenovele addirittura è pensato come una notizia del telegiornale e all’interno del telegiornale sarà inserito, non esiste più neppure l’informazione. Siamo ad oggi, 2013.
Bellissima la fotografia, la scelta di rendere il film esattamente dentro al 1988 è molto azzeccata.
In definitiva, meno male che Pinochet fosse mal consigliato, meno male che il colpo di coda dei suoi pubblicitari arrivò molto in ritardo.

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