Recensione su Incubi e deliri

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Incubi e deliri

Otto episodi tratti dai racconti di Stephen King / 7 Ottobre 2017 in Incubi e deliri

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Incubi e deliri è una miniserie, prodotta per la rete televisiva TNT, composta da otto episodi slegati tra loro ma accomunati dal fatto di essere tratti da altrettanti racconti di Stephen King. Il titolo fa riferimento alla settima raccolta di racconti dello scrittore del Maine, anche se tre degli episodi sono tratti da altre raccolte. La qualità complessiva è altalenante, il registro e i temi trattati variano notevolmente di puntata in puntata. Ottimi gli attori e i registi coinvolti, dove invece la produzione è stata carente è nel comparto sceneggiature, quasi come se la necessità di buoni script, a parte in qualche episodio particolarmente efficace, sia stata sottovalutata. Il tono generale richiama nelle intenzioni le atmosfere della famosa serie antologica Ai confini della realtà. Episodio 1. Campo di battaglia: un killer a pagamento, dopo aver chiuso il suo ultimo contratto, l’uccisione del presidente di una fabbrica di giocattoli, torna nel suo lussuoso appartamento dove è aggredito da un plotone di minuscoli soldatini di plastica stile GI Joe, ricevuti per posta e corredati da armi pesanti ed elicotteri da combattimento. La maggiore particolarità di quest’episodio è la totale assenza di dialoghi. Gli unici rumori arrivano dagli effetti sonori e musicali. Tutto si basa sull’espressiva recitazione “fisica” di William Hurt, novello Gulliver alle prese con i lillipuziani soldatini animati. Questi ultimi, che rischiavano di apparire ridicoli e conferire un tono parodistico alla narrazione, risultano invece inquietanti e implacabili. L’episodio sembra ispirarsi a The Invaders, puntata della classica serie TV Ai confini della realtà. Anch’essa priva di dialoghi, racconta di un’anziana donna che deve fronteggiare l’assalto di minuscoli invasori spaziali. La somiglianza potrebbe non essere un caso. L’ottima sceneggiatura è opera, infatti, di Christian Matheson, figlio del famoso scrittore Richard Matheson autore dello script di quell’episodio, che trasforma, seppur adattato fedelmente, un buon racconto di King pubblicato nella raccolta A volte ritornano, in uno dei prodotti più inconsueti e interessanti visti in televisione. Episodio 2. Crouch End: una coppia di sposini in luna di miele a Londra deve recarsi a Crouch End, un quartiere della zona periferica della città dalla sinistra fama, invitati a casa di amici. Il tassista che li accompagna, dopo aver raccontato loro di strane sparizioni, di cimiteri druidici rinvenuti in zona e di sguarci verso altre dimensioni, li abbandona nel mezzo del quartiere e senza neanche attendere il pagamento della corsa. La coppia, che aveva scambiato per farneticazioni i discorsi del tassista, dovrà ricredersi e precipiterà lentamente in un incubo all’apparenza senza fine. Il racconto originale, personale omaggio dello scrittore del Maine a H.P. Lovecraft , era stato originariamente pubblicato nell’antologia New Tales of the Cthulhu Mythos nel 1980 e richiamava in maniera abbastanza efficace alcuni elementi della mitologia lovecraftiana, a differenza dell’episodio televisivo. Troppo esplicite appaiono alcune scene e alcune spiegazioni che sulle pagine scritte lasciavano spazio all’ambiguità e quindi maggiormente terrorizzanti. Crouch End è un quartiere di Londra realmente esistente dove abitava lo scrittore Peter Straub, amico di King col quale ha scritto in collaborazione anche due romanzi. Episodio 3. L’ultimo caso di Umney: il racconto rappresenta un omaggio di King ai romanzi hard boiled degli anni Trenta e Quaranta che lo appassionavano da ragazzino. Uno scrittore in crisi decide di trasferirsi nel mondo immaginario dei suoi racconti, la Los Angeles degli anni Trenta, prendendo il posto del suo alter ego letterario, l’investigatore privato Clyde Umney. Ottima la ricostruzione delle atmosfere noir d’epoca, come ottima è l’interpretazione di William H. Macy nel ruolo di due personaggi molto diversi tra loro. L’adattamento è abbastanza fedele ma nonostante ciò non tutto funziona perché, per esempio, il finale ambiguo che sulla carta stampata appariva convincente, sullo schermo lascia nello spettatore una sensazione di incompiutezza. Episodio 4. La fine del gran casino: questo episodio ha uno spunto più fantascientifico che horror, ma è anche probabilmente uno dei migliori della serie. La “fine del gran casino” si riferisce alla fine del mondo, provocata dalla scoperta di una proteina capace di debellare la peggiore delle malattie che affliggono l’umanità: la violenza. Il non previsto effetto collaterale consiste però nell’insorgere di precoce deterioramento mentale e demenza che porterà a breve l’umanità all’estinzione. Episodio 5. Il virus della strada va a nord: il titolo dell’episodio è anche quello di un’inquietante dipinto acquistato a un garage sale dallo scrittore di romanzi horror Richard Kinnell, classico personaggio kinghiano, durante il tragitto che da Boston lo riporta a Derry (dove sennò?) nel Maine. Un viaggio verso nord, guarda caso. A Kinnell è appena stato diagnosticato un brutto male al colon. Il quadro rappresenta un individuo, dal cui sorriso s’intravvedono dei denti appuntiti, alla guida una potente auto che sta superando il ponte di Boston. Durante il viaggio lo scrittore si accorge che il dipinto cambia con l’avvicinarsi a casa, mostrando sullo sfondo paesaggi che ha già superato nella realtà, come se il soggetto rappresentato lo stesse seguendo, metafora, neanche troppo velata, della paura del male che lo sta incalzando e che prima o poi lo raggiungerà. L’aggiunta di questa metafora è proprio il punto debole dell’episodio che soffre di uno dei mali comuni del cinema e della televisione, il fatto che tutto deve essere esplicitamente spiegato e trovare una giustificazione. Nel racconto, pubblicato nel 1999 nell’antologia di racconti horror dedicati alla fine del millennio dal titolo 999 e poi inserito nella raccolta Tutto è fatidico, Kinnell non soffre di nessun altro male se non del blocco dello scrittore, lasciando invece la vicenda avvolta nel mistero che per questo risulta molto più efficace e angosciante. Episodio 6. Il quinto quarto: unico episodio della miniserie tratto da un racconto che non presenta elementi sovrannaturali o fantastici, è infatti una classica storia di regolamenti di conti tra i membri di una banda di rapinatori in cerca del bottino sepolto. Episodio 7. Sala autopsia 4: episodio dagli sviluppi di triviale umorismo per quanto narri della terrificante esperienza di un uomo che, creduto morto, sta per subire un’autopsia da vivo. Nel finale, infatti, la dottoressa che dirige l’esame autoptico, esaminando una cicatrice al testicolo del poveretto, gli provoca un’erezione con successiva eiaculazione. Sarà quest’imbarazzante trovata a rivelare che il paziente sul tavolo metallico non è per niente morto ma solo affetto da paralisi in seguito al morso di un raro serpente. L’ironia della cosa non sfugge al protagonista stesso che nel racconto di King, pubblicato nella raccolta Tutto è fatidico, citando un episodio della serie televisiva Alfred Hitchcock presenta con una storia simile (Crollo nervoso del 1955), chiude con la battuta che a Joseph Cotten, il protagonista di quella puntata, era bastato lacrimare per far capire di essere ancora vivo! Poco più di una barzelletta, quindi, anche divertente per certi versi, ma sicuramente un po’ scarna per reggere la durata di un episodio televisivo. Il protagonista è interpretato dall’attore Richard Thomas, il Bill Denbrough della miniserie televisiva It (1990) tratta da un romanzo omonimo dello stesso King. Episodio 8. E hanno una band nell’altro mondo: il più classico degli espedienti narrativi del genere horror, imboccare una scorciatoia non segnalata dalle cartine stradali per evitare il traffico, porta una coppia di sposi in uno strano villaggio di provincia tutto lindo e pulito che sembra un dipinto di Norman Rockwell, come invece dice uno dei protagonisti stesso. Rock and Roll Paradise, questo il nome del paese, più che un paradiso si rivelerà un inferno. Il borgo è, infatti, una specie di limbo, dove abitano le anime di famose stelle del rock ormai defunte. Elvis ne è il sindaco, Janis Joplin la proprietaria di un ristorante e Ricky Nelson il suo cuoco. Poi ci sono Buddy Holly, Roy Orbison, Jimmy Hendrix, Otis Redding e molti altri ancora. Stanno preparando un concerto e in quelle lande sperdute scarseggiano gli spettatori. Per la coppia di sfortunati sarà difficile, se non impossibile, perdersi l’evento. Quest’ultimo episodio della serie è tratto da un omonimo racconto di King, personale omaggio da parte del Re al rock classico. Originariamente fu, infatti, pubblicato nel volume antologico Shock Rock che coniugava racconti del terrore e rock’n’roll. L’episodio, che adatta quasi alla lettera il racconto, parte come un classico horror, con mistero e suspense, per poi virare sul grottesco quando le anime che abitano la cittadina si palesano. Le citazioni e i passaggi conditi da umorismo, abbondano. Nel complesso un episodio abbastanza divertente, per quanto bizzarro, che chiude degnamente la miniserie.

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