Recensione su Opera senza autore

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Opera didascalica / 12 Luglio 2019 in Opera senza autore

In Opera senza autore l’arte patisce sotto il tallone dell’ideologia in ogni regime: nella Germania nazista, che perseguita quella che chiama «arte degenerata»; nella DDR, che impone il realismo socialista; nella Repubblica Federale Tedesca, che snobba al contrario l’arte figurativa – anche se poi permette al protagonista di trovare la propria voce (un iperrealismo sfocato un tantino deludente, che fa rimpiangere le opere da lui prodotte nella DDR). La stessa morale di plus ça change… si desume dalle vicende del malvagio professor Seeband, medico delle SS prima, e poi in successione rispettato professionista nel regime dell’Est e in Occidente. I fili del destino si serrano ulteriormente quando si scopre che Seeband, che ha fatto uccidere Elisabeth, la zia del protagonista Kurt, è il padre di un’altra Elisabeth, la futura moglie di Kurt.
Oltre che da queste coincidenze vagamente improbabili (in gran parte assenti nelle vicende storiche a cui si ispira il film), Opera senza autore è afflitto da una curiosa atmosfera didascalica: soprattutto nei primi due terzi del film, in cui ogni evento sembra dover impartire una lezione – sia essa la condanna delle atrocità del nazismo e della guerra, o piuttosto la condanna del regime comunista. Non giovano neppure la durata eccessiva (tre ore) e la mancanza di uno scioglimento finale della vicenda. Non è facile credere che l’autore di questo film sia lo stesso dello splendido Le vite degli altri.

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