Recensione su Morte a Venezia

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24 Gennaio 2013

Tratto dalla novella di Thomas Mann, l’interpretazione di Visconti (regista e co-sceneggiatore) è nel senso di esaltarne la drammaticità: Gustav (che in Mann è uno scrittore) è turbato dai suoi desideri nei confronti del giovane Tadzio, interpretabili come pensieri impuri (un’omosessualità latente che all’epoca destò qualche polemica), ma anche come la triste constatazione di un’esistenza in declino, evidenziata dal confronto col vitale e affascinante corpo dell’adolescente.
Il tema dell’invecchiamento e in generale dell’esistenza è trattato in uno dei profondissimi discorsi con il collega musicista, riproposti in alcuni flashback (importanti e caratterizzanti anche le discussioni sul senso estetico).
L’epidemia rappresenta la concretizzazione del pericolo nei confronti del quale Gustav cerca di fuggire, salvo poi riscoprirsi debole di fronte ai propri sentimenti.
La trama incede molto lentamente (il regista stava lavorando ad una riduzione della Recherche di Proust, da cui fu evidentemente condizionato, trasformando un’opera breve come quella di Mann in un film da oltre due ore).
Visconti privilegia la riflessione, accentuata dalla pacatezza con cui si svolgono le più semplici azioni, messa in evidenza dallo stile di regia: continue e lente panoramiche, campi lunghi e uso del teleobiettivo in situazioni insolite.
Un gusto per l’inquadratura eccezionale, con alcune composizioni davvero formidabili (il panorama con le due barche, quello finale al tramonto con Tadzio e la macchina fotografica sulla spiaggia, la scena dei fuochi in una Venezia in preda all’epidemia di colera).
Ottima, soprattutto nel finale, la fotografia di Pasquale De Santis, fresco vincitore di un oscar.
Splendida la scelta musicale con la III e la V di Mahler, con particolare e indovinata insistenza sull’adagietto di quest’ultima (vero e proprio capolavoro nel capolavoro, una musica che sembra creata ad hoc per la pellicola).
Ma anche un pezzo come A’ risa di Berardo Cantalamessa, capace di ingenerare una risata contagiosa nel pubblico (ma l’unico che non ride è proprio Gustav), nell’ennesima situazione paradossale dipinta dalla pellicola.
Il silenzio è parte fondamentale di tutto il film, con i dialoghi ridotti all’osso.
Se da un lato l’assenza di una voce narrante si fa sentire con un certo disagio, di contro tale assenza è chiaramente voluta e segno di una assoluta padronanza del soggetto da parte di Visconti, che in effetti riesce, grazie anche all’eccellente recitazione di Bogarde a regalare un emotività magistrale.
Pensato e ripensato, un vero capolavoro.

2 commenti

  1. paolodelventosoest / 24 Gennaio 2013

    Perbacco, un 10 tondo tondo? Me lo segno!

  2. hartman / 24 Gennaio 2013

    All’inizio ero per il 9.. ma è uno di quei film in cui se fai passare un pò di tempo ti rendi conto di aver assistito a qualcosa di davvero speciale

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