9 Recensioni su

Moonlight

/ 20167.1251 voti

Una storia come tante…. / 1 Dicembre 2018 in Moonlight

Una bella storia, toccante, ingiusta, umana.
Ben diretta, discretamente recitata, ma mi aspettavo di più, dalla storia intendo.
Non so se davvero sia meritevole dell’Oscar per miglior film, secondo me è sopravvalutato…
5.

The Wire senza spari / 5 Dicembre 2017 in Moonlight

Il film premiato con l’Oscar è per me il peggior film visto tra quelli usciti nel 2016; caspita, direi che non sono in linea con l’Academy… L’uso delle inquadrature mobili e sfocate sa proprio di fasullo. Il film regge sulle ottime interpretazioni di Mahershala Ali e di Ashton Sanders, per il resto a me è sembrato un copincolla in color correction e senza spari della mitica serie The Wire, compresa la tematica gay gangster.

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Mah! / 3 Dicembre 2017 in Moonlight

Credevo fosse decisamente diverso, e più incentrato su una storia a tema LGBT, ed invece è di una noia mortale.

Andiamo oltre l’apparenza. / 30 Aprile 2017 in Moonlight

Moonlight di Barry Jenkins è uno dei film meno capiti dell’anno, caratterizzato da una visione introspettiva tanto delicata quanto travolgente, si è aggiudicato il premio Oscar come miglior film, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale. Il film diviso in tre atti, poiché ispirato all’opera teatrale In Moonlight Black Boys Look Blue di Tarell Alvin McCraney, racconta la vita e la crescita di un ragazzo gay afroamericano che cresce nel contesto sociale della Miami lacerata da droga e violenza in un capolavoro di empatia, originato dall’unione di diversi fattori, quali le luci, i colori, l’attenzione ai particolari e l’interpretazione toccante dei tre diversi attori che pur interpretando fasi diverse della vita di Chiron (bambino, adolescente, uomo) mantengono nei loro occhi la stessa luce. Un film nel complesso allegorico, una coreografia di violenza e sensibilità, che nasconde dietro ai fatti in sé un significato più profondo, lasciando spazio all’immaginazione attraverso un finale più o meno aperto, proprio per questa sua forte soggettività penso sia un film che vada visto andando oltre ogni recensione.

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and the Winner is… MOONLIGHT??? / 6 Marzo 2017 in Moonlight

Quando al cinema alla fine di un film rimani interdetto e nella sala senti come esclamazione “EMBE’!” ti rendi conto che la tua sensazione l’hanno provata in molti.
Quando alla fine di un film ti rimane quel senso di piattume, quando non hai emozioni, non hai nessuna sensazione (positivo o negativa che sia…) qualche cosa non ha funzionato.
Eppure ha vinto l’Oscar come miglior film.
Chiron è un bambino/ragazzo/uomo che deve combattere contro una società che lo costringerà ad essere conforme a quel mondo.
Ma quello che non prende è proprio come sviluppato.
Non rimane nulla.
Brutto? No…
Bello? No…
Consiglio… Se vuoi vederlo aspetta che lo danno in TV. Non serve vederlo sul grande schermo…
Ma forse non serve vederlo…
Ad maiora!

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Ritratto debole di una realtà sociale che poteva essere raccontata meglio di così / 28 Febbraio 2017 in Moonlight

Moonlight è un film che racconta una storia che sulla carta dovrebbe essere piuttosto originale. Infatti descrive la crescita e la formazione di un ragazzo omosessuale nella dura comunità afro-americana che lo perseguita.
E fin qui il film potrebbe essere tanto intrigante, o tanto banale. Ma la cosa strana è che questo film si trova in una via di mezzo tra intrigo e banalità, senza veramente riuscire ad allontanare quest’ultima. Perché sebbene la trama sulla carta funziona abbastanza bene, quello che non funziona è come il film si approccio ad essa. A partire dalla sceneggiatura. la quale trova i suoi punti di forza paradossalmente più nei silenzi che nei discorsi.
I discorsi hanno un infatti un che di dolciastro, un sentimentalismo continuamente spezzato ogni volta che i personaggi si ricordano che il duro contesto non permette di filosofeggiare troppo. E per quanto riguarda i silenzi, se con loro la sceneggiatura non falliva, fallisce la regia. La regia infatti non riesce a compiere l’impossibile risollevando la banale sceneggiatura,, né con le immagini né con i movimenti di macchina, e invece da fungere da “buco della serratura portatile” diventa sostegno a questo sentimentalismo sostenuto, e portatrice di un dramma che non riesce ad essere profondo come vorrebbe.
Perché dopotutto il silenzio bisogna saperlo dosare e giustificare, e la drammaticità bisogna saperla guadagnare. Non basta mettere un ragazzino omossessuale, una madre drogata e uno spacciatore “buono” per poter realizzare un dramma veramente valido.

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Anche i maschi possono piangere? / 27 Febbraio 2017 in Moonlight

Cosa significa essere afroamericani e omosessuali? Moonlight affronta per la prima volta il tema dell’omosessualità maschile all’interno della comunità afroamericana e lo fa attraverso uno stile registico che di hollywoodiano ha davvero poco, nonostante la vittoria dell’Oscar come miglior film sia la risposta perfetta al razzismo e all’omofobia dell’America trumpiana, uno schiaffo in piena faccia al mito del WASP, l’uomo bianco statunitense eterosessuale.
Il film si costruisce al pari di un romanzo di formazione e suddivide la vita del protagonista in tre fasi salienti: la sua infanzia difficile, l’adolescenza ancor più complessa e la vita adulta.
Little, un bambino timido e riservato che subisce bullismo dai suoi coetanei, viene preso sotto l’ala protettrice di Juan, spacciatore del luogo. E’ grazie a lui che Little imparerà che “a un certo punto della tua vita devi decidere chi vuoi essere e non lasciare che sia qualcun altro a decidere per te.” Eppure il processo sarà lungo, perché la comunità non accetta l’omosessualità di Little, incapace di adattarsi a un sistema di valori che richiede al maschio nero di essere virile, forte e, ovviamente, eterosessuale. Little chiede al suo mentore cosa significa la parola “faggot” e se lui è un “faggot”, un “frocio”. E se all’interno della comunità tutti si chiamano “nigga” – negro – fra loro, sottolineando la riappropriazione politica del linguaggio discriminatorio e dispregiativo dei bianchi, non succede la stessa cosa con il termine “faggot”, che viene ridimensionato dal mentore di Little a un più politicamente corretto “gay”. Ma a prescindere dal valore politico di riappropriazione della scelta lessicale, quello che emerge da questo confronto è quanto il linguaggio incida profondamente su di noi, che ne assorbiamo il peso e dobbiamo fare i conti con lo stigma sociale che ci segnerà per sempre. La potenza e l’importanza che assume il linguaggio emerge anche grazie all’ampio uso dello slang da parte del regista Barry Jankins, che lascia che le parole scorrano senza filtri. Infine, non è un caso che i capitoli del film siano scanditi proprio dal linguaggio, più precisamente dal nome e dai soprannomi che caratterizzano Little durante il passaggio da un’età all’altra, da una fase di vita all’altra.
Si apre così il secondo capitolo, in cui Little diventa Chiron, il suo nome di battesimo. Egli ora è un adolescente e in quanto tale si deve scontrare e confrontare con la sua sessualità, all’interno di un ambiente sempre più ostile e violento che non gli lascia tregua. E in un contesto del genere il saluto cameratesco che si trasforma in una carezza esitante e sospesa non può che diventare un gesto profondamente rivoluzionario, nonché una delle scene più belle del film.
Il terzo e ultimo capitolo è intitolato Black, in cui Chiron assume l’identità del soprannome datogli la suo primo e unico amore una notte d’estate al chiaro di luna. Diventato ormai adulto, Black dovrà fare i conti con se stesso.
Moonlight è, in sintesi, una pellicola molto casta e delicata, in cui sono gli sguardi insistenti e sospesi a veicolare una implicita carica profondamente trasgressiva – sia nei confronti delle regole del cinema hollywoodiano, sia nei confronti della società violenta e omofoba all’interno della quale si muovo spaventati i personaggi. La peculiarità di questo film è che è in grado di rappresentare un maschile diverso dal solito, un maschile fatto di abbracci, carezze, scambi di sguardi. Gli uomini di Moonlight sanno essere maschi fragili, impauriti, confusi, soli, scardinando gli stereotipi di una comunità che li vorrebbe indistruttibili, virili, macisti e incapaci di interrogarsi sulla molteplicità stessa del maschile. “Ma tu piangi?” è la domanda imbarazzata che Chiron e Kevin si scambiano sulla spiaggia. E nessuno dei due è in grado di dare una risposta sincera.
Questo film lascia infine una nota amara in bocca, che ci aiuta a capire quanto sia importante riuscire a prendere in mano la nostra vita il prima possibile, senza lasciare che il peso dello stigma sociale ci trascini nell’abisso dell’infelicità, in attesa di un riscatto tardivo che, comunque, non ci ripagherà di tutti gli anni persi a non essere noi stessi/e e a interpretare il ruolo che altri hanno scelto per noi. Ed è per questo che le parole del mentore Juan devono sempre riecheggiare rumorose: “a un certo punto della tua vita devi decidere chi vuoi essere. Non lasciare che sia qualcun altro a decidere per te.”

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. / 26 Febbraio 2017 in Moonlight

Storia in 3 atti di Chiron, ragazzino, adolescente e omaccione nero che prende consapevolezza di sè nel mentre che impara a nascondersi dietro l’aspetto da duro, Moonlight è bellino da un punto di vista estetico, perchè ha un gran bella fotografia fredda e registicamente si lascia apprezzare per certi bei movimenti di camera. Dove però pecca un po’ è nella storia, cioè dove le cose andrebbero meglio gestite, dati i temi che si propone di raccontare: sostanzialmente piatto, con qualche momento di intensità emotiva che salva la pellicola, la sceneggiatura fa del concentrato di topoi di nicchia il suo punto di forza, che per me è debolezza: razza, omosessualità, droga, tutto centrifugato assieme è decisamente troppo, per un film che d’altra parte è arrivato alla stagione dei premi forse in parte proprio per questo suo abusare e sguazzare dentro temi forti che fanno sempre presa. Quindi in definitiva una storia che per me fallisce nel rimanere impressa, perchè trovo difficile superare l’idea che si sia voluto strafare un po’ ruffianamente per toccare al cuore.

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Dancing in the moonlight / 19 Febbraio 2017 in Moonlight

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Per la regia di Barry Jenkins, “Moonlight” è un affresco di vita tanto delicato nei temi e nei modi rappresentativi quanto vibrante e potente a livello contenutistico.

La crescita del protagonista, da un lato prettamente fisica attraverso tre fasi della sua vita e al contempo psicologica, legata al percorso di formazione del proprio carattere, porta infatti lo spettatore ad avere davanti agli occhi una sorta di vero quadro in movimento, un cangiante tableau vivant dalla costante evoluzione.

Con i tre stadi caratterizzati da una divisione netta e per atti (ovvia eredità dell’origine teatrale dell’opera), si ha una vicenda in cui il protagonista incontra via via nuove figure che lo influenzeranno, positivamente o meno, per le scelte future e per la scoperta del proprio posto nel mondo.

L’infanzia di “Little”, soprannome identificativo non solo del fisico minuto, ma dell’inferiorità rispetto agli altri in cui lui stesso si adagia, è segnata dalla sua timidezza: oltre ad affrontare i propri demoni e combattere la diabolica ingenuità del bullismo da parte dei propri coetanei è schiacciato dalla personalità di una madre-matrona cruda ed abusiva.

Durante l’adolescenza cresce l’individuo e con esso i problemi, e ci si immerge nel delicatissimo passaggio tra il mondo dei bambini e quello dei grandi. Vengono compiute scelte che indirizzano definitivamente il proprio cammino di vita e si pongono le basi per quello che sarà il proprio modo di trascorrere l’esistenza.

Da adulti i nodi vengono al pettine: il percorso di maturazione è giunto al culmine, alae iacta est e si deve cercare di fare pace con gli spettri del passato, che ritornano per risolvere ciò che è rimasto in sospeso.

Una fotografia notturna torbida come inchiostro di seppia fornisce alle sequenze ambientate dopo il tramonto ulteriore intensità emotiva, permettendo quindi alla storia di ottenere maggiore impatto sul pubblico.
Ad esse si alternano fasi diurne relativamente brevi in cui i filtri sono notevolmente più vivaci e definiti, ma che danno la sensazione di essere solamente dei riempitivi tra una notte e l’altra, come se fossero le tenebre le coperte adatte per la vicenda, e ogni giorno fosse solo attesa della notte che starà per giungere.

Ottimo tutto il cast.
I tre attori che interpretano Chirion offrono una prova convincente e vivida, rappresentando efficacemente su schermo i diversi problemi delle varie fasi della vita; si ha in particolare la credibile sensazione che al di là delle differenze anagrafiche ci si trovi realmente davanti sempre alla stessa persona, ed in tal senso è stata positiva la scelta estetica dei tre interpreti.

Buona prova anche di Naomie Harris come sulfurea e gorgonica madre, incarnazione della debolezza e del male, e del padre putativo Juan incarnato da Mahershala Ali che cercherà di dare una mano al giovane Chiron, entrambi nominati agli Oscar.

Nonostante non sia tutto oro ciò che luccichi (non siamo infatti di fronte ad uno dei film più originali del mondo, limitandosi strettamente all’analisi di ciò che avviene durante la vicenda) “Moonlight” è un’ottima pellicola che riesce a soddisfare il palato del pubblico e ad offrire una storia intensa e toccante.

Decisamente consigliato.

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