Recensione su Mommy

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15 Gennaio 2015

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Canada post-contemporaneo, le strade hanno tante corsie. Siamo gente che ha spazio. Diane è una madre vestita un po’ da battona, il cui figlio viene rimbalzato dall’ennesimo istituto di correzione o whatever, per cui se lo riprende a casa. Lui, Steve, è un incrocio tra il tipo dei Dardenne e Macaulay Culkin, lei campa a stento e nemmen si capisce tanto come, lui è matto se voglio, deficit d’attenzione, iperattivismo, una bomba a orologeria e col timer sbronzo (quella storia di Truffaut e Hitchcock e la bomba sotto il tavolo? Ecco). Potrebbe tranquillamente fare il film da solo, e di francesi con le facce da scavezzacollo prendaschiaffi il cinema francofono trabocca. Lei è tra l’hippie e lo stuppiedo, con una prova d’attrice mostruosa per il repertorio di 20000 espressioni facciali e sentimenti esposti nell’arco di tutto il film. Ai due si aggiunge la vicina scema, che è una tizia piccola e muta muta e quando non è muta è b-b-b-b-balbuziente. O in alternativa si tiene la testa tra le mani. Con questi elementi, l’amore e l’odio del rapporto filiale trascolorano e ribaltano in continuazione, tra esplosioni di violenza e ascessi di amore al limite del fisico, tracolli di affettto e lacrime. I tre se la intendono, il triangolo è forte e altri personaggi non servono che a delineare uno sfondo di bassa borghesia metropolitana, se la stendono, esplodono. C’è un po’ di Italia, Stewie ascolta Blue e canta Bocelli, più un Einaudi abbastanza a tradimento. Non c’è sostanza nell’originalità, perché le storie di madri-con-figli-problematici hanno ormai alle spalle un corpus di centinaia di film (ma di che ca**o stiamo parlando?), ma di forma; l’inquadratura rimane a 1:1 per quasi tutto il film, e all’inizio quasi volevo andare a protestare urlando babbo al macchinista – sono una persona timida e ovviamente, e meno male, non l’ho fatto. Invece no, perché è funzionale all’allargarsi del quadro con un improvviso gesto metafilmico, per il cinema d’oggi assai fuori dai canoni, nei rari momenti sereni, e l’effetto è quello fisico della boccata d’aria. Fatto dagli occhi mica è semplice. E poi BANG, la trappola si richiude nella loro normalità in precipizio. Anche, altra scena fuori le righe, lui che impazzisce al karaoke (per forza, se ascolti quella roba), la camera si/ci immedesima, siamo i suoi occhi e il suo respiro e la rabbia che ribolle. E poi BANG!

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