M / 26 Ottobre 2020 in Miss Marx

Il film è altalenante, e a momenti meravigliosi (la morte di Engels, il viaggio in America) o coraggiosi (la fumata d’oppio verso la fine: ai posteri l’ardua sentenza su una scelta del genere) si assommano altri un po’ stanchi: soprattutto il rapporto di Eleanor Marx col concubino Edward Aveling, che poi è il vero fulcro del film, non è sempre all’altezza: interessantissimo come viene sviscerato l’atteggiamento di lei, teoricamente donna modernissima e già bandiera di lotte che diverranno comuni mezzo secolo abbondante dopo, ma dall’altra incapace di tagliare i ponti con un compagno stronzo, inadeguato e con le mani bucate. Solo l’estremo atto finale farà finalmente da cesura (e si noti le somiglianze e le divergenze col precedente film della Nicchiarelli, Nico, 1988: là una donna che ha vissuto sempre di estremi e che muore in una maniera tanto banale come una caduta di bicicletta, qui una donna rigorosissima nel portare avanti le sue idee e il suo stile di vita che si dà la morte nel più estremo dei gesti; tra l’altro le due morti si intersecano anche nel momento in cui la regista decide di lasciarle velate, di spostare l’enfasi su ciò che rimane e su ciò che è stato). Interessantissimo dunque, si diceva, questo rapporto, almeno sulla carta, ma in realtà trascinato troppo a lungo, spesso senza aggiungere né togliere nulla e risultando quindi più di una volta noioso. Si toglie così, tra l’altro, spazio agli altri rivoli possibili della trama e che semplici rivoli rimangono.

Nota a margine: fa piacere vedere come la lezione di Pietro Marcello cominci a essere assimilata per bene da altri autori del cinema italiano: la Nicchiarelli usa i filmati di repertorio e le ricerche d’archivio tanto bene come Marcello in Martin Eden, o forse addirittura meglio, e questo utilizzo del found footage è tra le cose migliori del film. Speriamo che altri autori lo sappiano usare con altrettanta finezza senza che diventi una moda o un vieto cliché.

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