Recensione su Miracolo a Le Havre

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17 Dicembre 2012

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Mi sfuggiva come un’anguilla l’ultimo film del finlandese Aki Kaurismaki, un genio del cinema che all’ultimo film festival di Torino si era presentato in conferenza stampa con una bottiglia da 66 di birra e successivamente si era messo a litigare con Castellitto. Un confronto davvero impari, io Castellitto col cinema nemmeno ho mai capito che cosa c’entri, è come dire ci sono in tavola una merda e del tiramisù, che prendi? (poi ok, esistono i coprofagi, ma son pochi).
Comunque, in una Le Havre insieme moderna ma fuori dal tempo Marcel lavora alla stazione come lustrascarpe. Ha un ristretto giro di buoni amici, una moglie che ama, Arletty, il cane Laika, una casetta in un vicinato dove tutti si conoscono e poco altro. Succede che, mentre la moglie finisce in ospedale per un cancro apparentemente incurabile di cui a Marcel non vien detto nulla, vengono trovati dei clandestini africani in un container del porto: un ragazzino scappa, lui lo trova e lo prende con sé, per aiutarlo a passare la Manica. Ma non sarà solo, perché lo aiuta il cane, lo aiutano la panettiera e il fruttivendolo, tutti fanno qualcosa, lo aiuta l’ispettore, che pure sembrava tanto cattivo ma sa chiudere l’occhio al momento giusto, in un gioco di squadra per mettere il ragazzino su di un battello.
Lo stile di Kaurismaki è del tutto peculiare, e lo è anche in questo film dove tutto è a lieto fine, il doppio miracolo della fuga e della guarigione si realizza, come se ad un mondo di personaggi dalle vite così piccole e innocue e buone fosse quasi dovuto. C’è sempre anche un certo sfasamento, nei film del Kau, una certa dose di surrealtà e nonsense, qui dovuto in gran parte, oltre che ai dialoghi, alle ambientazioni e agli indumenti, che sembrano usciti da un noir di Melville dei bei tempi del cinema francese. Un noir a colori pastello, tra personaggi del genere ci si capisce con un’occhiata e a volte anche con meno, fare del bene si può e si può a tutti i livelli, la felicità nella quotidianità può esistere. Marcel fa le cose giuste, ecco. Poi che il miracolo avvenga però è culo.
Da segnalare anche che c’è, in un ruolo secondario, pure Jean-Pierre Leaud, che è l’attore feticcio di Truffaut, quello che era bambino nei Quattrocento colpi e poi è cresciuto e blablabla. E che questo è l’ennesimo film di quest’anno ad affrontare il problema dell’immigrazione. Il nostro Terraferma di Crialese resta per ora e a mio parere il migliore.
NB: nel corso, prima e dopo la proiezione sono per la prima volta in vita mia diventato chiaramente OMOFOBO. In quanto io e Superlavoratore avevamo nella fila dietro tre palesemente supergay quarantenni che hanno detto solo e continuamente cazzate allucinanti. L’ultima era veramente colossale, se ne sono andati affermando “Sì, beh… il classico film francese!”
MA PORCO CLERO! É un finlandese, come fa a fare il classico film francese????? -.-”””””’ Giuro li ho odiati, a lot.

2 commenti

  1. alevenstre / 8 Settembre 2013

    Bellissime inquadrature, è il primo film che vedo di questo regista, e l’ho fatto oggi. Mi è rimasta impressa la stretta di mano tra il bambino e la moglie ammalata, un incrocio di sguardi che pare anticipare il miracolo che potrebbe avvenire, proprio nel momento in cui uno è in procinto di allontanarsi dal lustrascarpe e l’altra a riavvicinarsi..

    • tragicomix / 9 Settembre 2013

      kaurismaki ormai è un volpone, o “maestro”, o che dir si voglia, e hai la fortuna di poter vedere ancora un sacco di altri suoi film 😀 da giovane, com’è ovvio, era assai più folle, ma è un regista davvero particolare e sui generis; credo che essere finlandese c’entri molto :/ devi reagire in qualche modo, se sei finlandese, o bevi o se ti va bene bevi e diventi kaurismaki

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