Minority Report

La polizia che ferma i crimini prima che vengano compiuti grazie a delle persone con capacità predittive, sarebbe un buon spunto per un film che affronti tematiche profonde o suggestive.
Spielberg invece ne tira fuori “solo” un ottimo film d’azione, ben confezionato: ritmo narrativo serrato, scene d’azione avvincenti, e ambientazione fantascientifica ben realizzata.

Ma ci sono anche alcune scene un po’ ridicole, un colpo di scena banalissimo e soprattutto un finale davvero stupido.

Rivisto dopo tanti anni dalla prima volta, Minority Report di Spielberg che, pure, all’epoca, mi era sembrato un buon film di fantascienza, ne viene fuori con le ossa rotte.
Tolta la stupefacente traccia narrativa di Philip K. Dick, il film con Tom Cruise è retorico e, come accade troppo spesso nei film di genere, pecca di una visione ormai “datata” di una possibile tecnologia futura.

Ho trovato curioso il fatto che, nella sequenza in cui il personaggio di Cruise viene arrestato e arriva al cospetto del guardiano interpretato da Tim Blake Nelson e quella in cui si sottopone all’operazione agli occhi affidandosi a Peter Stormare, il film di Spielberg sembri un lavoro di Terry Gilliam (un po’ per il mood della situazione, un po’ per le inquadrature sghembe e allucinate, un po’ per i primi piani stretti sui volti).

Un film che è rimasto famoso per le invenzioni visuali straordinarie: il computer azionato a gesti, le auto che corrono lungo le pareti degli edifici, i ragni robot. Citazioni dall’altro grande film dickiano, Blade Runner, con le pubblicità sulle facciate dei muri e gli occhi trapiantati; forse anche da Fahrenheit 451, con le divise dei poliziotti della precrimine. E la trama? Compatta, con qualche buco e un finale che quasi nessuno ha trovato convincente, ma nel complesso ben costruita. Forse troppo; c’è nella vicenda una certa artificiosità, una mancanza di sincerità: tutto è controllato, con la riflessione filosofica sul libero arbitrio (un po’ scontata) a fare da impalcatura. Manca l’effusione sentimentale – anche eccessiva – che contraddistingueva Blade Runner. E c’è poi il peccato capitale del film: la fotografia con i colori desaturati. Una scelta estetica incomprensibile, che se capisco bene sarebbe dovuta al desiderio di ricordare un film noir, ma che procura invece – oltre a un certo mal di testa – un senso di distanza dall’azione e rende meno leggibili le immagini più originali. Veramente demenziale.

il grande nome è una garanzia di buon film. In questi caso i nomi sono due Spielberg e Philip K. Dick l’autore del romanzo dal quale il libro è tratto. Non ho letto il libro ma sicuramente questo è uno dei tanti casi nei quali la lettura risulta migliore del film. Certo Spielberg è una garanzia per gli effetti speciali, per la fotografia insomma per tutti gli aspetti tecnici del film, ma forse la violenza della quale ormai è intrisa la società attuale mi ha diciamo reso refrattario a film nei quali la violenza è elemento essenziale. La storia è originale, ma d’altra parte Dick è una garanzia, ma non sufficiente per farne un film godibile (personalissima opinione naturalmente).