Of lion and man / 3 Febbraio 2019 in Mia e il leone bianco
Non sono un’ambientalista invasata né tantomeno un’animalista ipocrita, so bene che uccidere animali per il sostentamento umano o per altri generi di necessità primarie è una cosa naturale che avviene da centinaia di migliaia di anni, ma c’è una categoria di persone che proprio non sopporto, anzi la cui sola esistenza trovo inquietante e preoccupante: coloro che si “divertono” ad uccidere; nessuno mi toglierà mai dalla testa che chiunque si dedichi a queste attività, che sia caccia, pesca o il macabro genere di “game safari” di cui tratta la pellicola, sia una persona profondamente disturbata che andrebbe rinchiusa in un istituto faccia a faccia con un bravo psicologo. Con queste premesse e con all’attivo due viaggi in Sudafrica e due splendide giornate in riserva a stretto contatto con i leoni allo stato brado, era piuttosto ovvio che il film mi sarebbe piaciuto; intendiamoci, il soggetto è il trionfo del già visto, uno spettatore un minimo smaliziato intuisce tutto lo svolgimento del film dopo i primi dieci minuti, ma questa non è una pellicola che si va a vedere per “sapere” come va a finire: si va a vedere per “sperare” come va a finire, per veder crescere insieme la protagonista Daniah De Villiers e il cucciolo Thor esattamente come capita ai personaggi da loro interpretati, per godere di quello che il direttore della fotografia riesce a combinare con la splendida luce sudafricana, per riflettere un pò su quanto sia ancora “disumano” il genere a cui apparteniamo e (almeno nel mio caso) per farsi un pianterello spalla a spalla con la propria nipotina… In definitiva: non si parla di un capolavoro, ma ci sono modi ben peggiori di passare un paio d’ore, e vedere smuoversi qualcosa nella coscienza di una bambina di nove anni vale ben più del prezzo di un paio di biglietti.
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