4 Novembre 2012

Un film epocale, di rottura, poco noto al grande pubblico ma di fondamentale importanza per la cinematografia che da quegli anni in poi inizierà, grazie anche a film come Mean Streets, a rompere le righe, a sdoganarsi da un passato bigotto.
Il Tarantino di Pulp Fiction, deve probabilmente di piú a questa pellicola che ai tanto decantati B-movies.
Con il pretesto di una banale storia di debiti non pagati, lo Scorsese degli esordi dipinse questo magnifico affresco della Little Italy degli anni ’60-’70, quando, come ricorda lo stesso regista, la scelta da fare per un italo-americano era di diventare gangster oppure farsi prete. Scorsese, che nella vera Little Italy trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza, descrive con il piglio del socio-antropologo la vita nelle Mean Streets, i bassifondi cittadini, le “squallide vie”.
Per farlo abbraccia, neanche troppo velatamente, lo stile del neorealismo italiano, connotato peró da un’impronta violenta, schizzofrenica: la macchina da presa mobile, che si muove convulsamente seguendo i protagonisti, costituisce un chiaro esempio dell’originalità scorsesiana. In certe scene, come quella della maxi-rissa, la macchina segue i litiganti con un allucinato moto circolare.
Scena fantastica, memorabile, che da sola farebbe gridare al capolavoro, quella dell’ubriachezza di Charlie. Una macchina da presa che segue, oscillando e arretrando, il primo piano barcollante di Keitel, come in un delirio lisergico.
Scorsese usa il ralenty e le musiche in modo ineccepibile.
La colonna sonora è superlativa e comprende rock, opera, musica della tradizione napoletana in un pot-pourri mai banale. Dai Rolling Stones a Be my baby dei Ronettes, da Carosone al grande tenore Giuseppe di Stefano.
L’interpretazione dei due attori principali è perfetta: De Niro si cala magnificamente nel ruolo del folle Johnny Boy, facendosi le ossa per i due ruoli memorabili del giovane Vito Corleone nel Padrino parte II e del Travis Bickle di Taxi Driver. Harvey Keitel (che a mio modesto parere è uno degli attori migliori di Hollywood, cosa che non è mai stata sancita dal suo ingresso nella platea degli attori di prima fascia, osannati dal grande pubblico) interpreta il ruolo del protagonista come nessun altro probabilmente avrebbe saputo fare.
Ultimo appunto sulla splendida fotografia: tinte caldissime, rosso acceso in prevalenza, accompagnano buona parte delle scene in interni, per essere sostituite da colori slavati e opachi negli esterni, con un effetto geniale di voluta sovraesposizione. Come a voler ricordare anche con i colori l’eterno conflitto che è filo conduttore dell’intera pellicola, quello tra passione e religione, tra follia e misticismo, tra ambizione e razionalità. Una dicotomia ben rappresentata, una volta tanto, dal sottotitolo italiano: Domenica in chiesa, lunedí all’inferno.

2 commenti

  1. paolodelventosoest / 9 Novembre 2012

    Questo voglio proprio vedermelo.

  2. hartman / 9 Novembre 2012

    Sì guardalo perchè vale davvero la pena.. è uno di quei film per cui non mi spiego come faccia ad essere così poco popolare, pur essendo di Scorsese e avendo come protagonisti Keitel e De Niro

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