Reminiscenze neoraliste e incertezze diffuse / 13 Settembre 2021 in Mare matto

Non avevo mai sentito parlare di questo film di Castellani, nonostante che la pensione Giglio crocevia del progetto cinematografico si trovi nella “mia” Genova e che gran parte del film si svolga nei caruggi del capoluogo ligure (fotografati con begli accenti quasi polar da Antonio Secchi).
Confesso che, visto il titolo italiano, Mare matto, credevo che si trattasse di un musicarello o di una commedia estiva anni Sessanta (il titolo con cui è stato distribuito in Francia è il più evocativo La mer à boire).
Invece, si tratta di un film con qualche reminiscenza neorealista (più à la De Santis che à la De Sica/Rossellini, comunque) che affronta un argomento, a memoria mia, inedito nella cinematografia italiana, quello dei lavoratori portuali operativi sulle navi mercantili.

Il film è una co-produzione italo-francese e, forse, è l’unico motivo che giustifica la presenza nel cast di Jean-Paul Belmondo. Bebel non sarebbe stato del tutto una scelta sbagliata, se non fosse stato chiamato a interpretare un livornese doppiato in maniera discutibile (dall’altrimenti bravo e indimenticato Pino Locchi). Il risultato -ahinoi- è un personaggio scomposto, incerto.
Stesse perplessità sull’Efisio Trombetti di un Tomas Milian imbiondito per l’occasione, con falso accento veneziano (ovviamente, doppiato).

Purtroppo, pare che il film sia stato soggetto a numerosi tagli (nonostante questo, al momento della sua uscita, è stato proiettato con divieto ai minori di 18 anni) e, effettivamente, Mare matto soffre di scarsa continuità, compattezza, incisività, come se, a tratti, mancasse di dettagli narrativi, benché le descrizioni d’ambiente abbondino di quelli materiali. E, poi, oscilla in maniera poco coesa tra troppi generi, dal melodramma (episodio genovese/livornese) alla satira di costume in stile Germi (parentesi siciliana).

Tolte le considerazioni su Belmondo e Milian e al netto dell’accigliata interpretazione di una non troppo plausibile Gina Lollobrigida (qualcuno, poi, dovrebbe spiegarmi le sue unghie curate e smaltate, a dispetto dei tanti lavori manuali a cui è chiamato il suo personaggio), il valore oggettivo del film sta nella scelta delle location (oltre alla Genova post-bellica, brulicante di vita, anche nelle ore notturne e nonostante i segni visibili dei bombardamenti, il film si svolge in una più incolore Livorno e in un’assolata Messina) e del cast di attori non professionisti (i volti sono tutti decisamente azzeccati).

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