Recensione su Mank

/ 20206.881 voti

La parabola della scimmia del suonatore d’organetto / 5 Dicembre 2020 in Mank

Voto: 8 stelline e mezzo

Fincher torna al cinema a sei anni dall’ultimo lavoro e lo fa raccontando una storia bollente come quella di The Social Network anche se molto meno recente: i travagliati retroscena dietro la sceneggiatura del capolavoro Quarto Potere.
Diciamo subito che andare a toccare l’opera prima di Orson Welles è stata una scelta assai azzardata ma anche parecchio coraggiosa perché il confronto con il capolavoro del ’41 viene naturale e una cattiva gestione di questo vaso di pandora cinematografico avrebbe potuto rovesciare i mali contenuti al suo interno tutti addosso a Fincher.

Allora, la carne al fuoco è tanta e per cogliere tutte le sfaccettature di un’epopea di questo calibro ci vogliono più visioni e una comprensione del cinema al sottoscritto ancora ignota, quindi prendete quello che sto scrivendo come un flusso di coscienza più che come una recensione.

Andiamo al sodo, Fincher, con Mank, tocca vette di perfezione/ossessione stilistica mai toccate prima, una cura per il dettaglio MA-NIA-CA-LE: dalla ricercatissima riproduzione del suono analogico dei primi film con sonoro ai bollini di sincronizzazione in alto a destra che segnalano il cambio di pellicola.
La scelta del bianco e nero meraviglioso è stata fondamentale, dona quell’aspetto retrò e elegante che ti catapulta in un batter d’occhi nella Hollywood degli anni ’30.
Regia cristallina, abbastanza statica, con pochi ma notevoli movimenti di macchina e qualche piano sequenza, classico, alla Fincher, nei corridoi.
Sceneggiatura di pregevole fattura, perfettamente in linea con la regia.
Eccellente anche il montaggio che da un certo ritmo(che verso i tre quarti della storia rallenta forse un po’) nonostante i 130 minuti e soprattutto ogni volta che viene nominata una persona(e sono tante) si sa sempre di chi si sta parlando e in più quel pazzo di Fincher usa in ordine sparso flashback e flashforward riuscendo perfettamente a mantenere il filo conduttore e anzi fa di questa narrazione labirintica il suo punto forte e il suo marchio di fabbrica.

Gary Oldman superbo, cito lui perché è l’attore centrale ma una prova corale di tutto il cast: Lily Collins nel ruolo della vita,ottimi anche Amanda Seyfried, Arliss Howard, Tuppence Middleton e Tom Burke nel ruolo di Orson Welles.

Il personaggio di Herman Mankiewicz (Oldman) è di base molto stereotipico: classico scrittore che beve parecchio e fuma ancor di più, convinto di essere al capolinea da parecchio tempo.
Mank è un uomo autoironico dalla lingua tagliente che si diverte nel provocare la crema dell’elite cinematografica repubblicana nei salotti delle proprietà di William Randolph Hearst(magnate e imprenditore la cui vita ispirò Mankiewicz per il personaggio di Charles Foster Kane in Quarto Potere) con i suoi ideali socialisti(nel film verrà citato più volte Upton Sinclair, attivista socialista in quel periodo e scrittore di molti romanzi tra cui Oil!, da cui è tratto Il Petroliere di Anderson) che però finiranno per sbattergli sui denti quando capirà di essere un ingranaggio di un sistema molto più grande di lui.

Ci sarebbe da parlare per ore di tutto il panorama politico che fa da da sfondo: la grande depressione, l’avvento di Hitler, l’utilizzo del cinema come mezzo di becera propaganda politica.
Mank forse è quasi un McGuffin, un biopic per raccontare molto altro, qualcosa che a me sfugge dopo una sola visione e che forse qualcuno più colto di me saprà cogliere.

Tirando le somme: indubbiamente un film sentito, forse il più sentito, prima di tutto per il discorso che si sta toccando Quarto Potere e secondo perché la sceneggiatura venne scritta dal papà di Fincher, Jack, negli anni ’90 e rimase in attesa di essere prodotta, quindi l’ho vista come una crociata personale per Fincher.

Insomma una prova che ha confermato l’estrema formalità del regista classe ’62 per un film che è indubbiamente il migliore del 2020 a mani basse.

8 commenti

  1. Stefania / 5 Dicembre 2020

    Condivido molto delle tue riflessioni, ma non capisco e non accetto una cosa: per “portare in auge” Mank (e la sua valenza “parabolica”), perché i Fincher hanno dovuto demonizzare Welles?

  2. rust cohle / 5 Dicembre 2020

    Bhè, forse lo hanno descritto come un rompi palle ma l’ho vista più come una descrizione del suo personaggio più che come una demonizzazione. Quello che forse ho trovato di cattivo gusto è quando Manckiewicz, alla premiazione, dichiara di aver scritto lo screenplay da solo quando compare anche la firma di Welles. I biopic sono un problema per questo, tendono all’eroizzazione del personaggio però ripeto, e se fosse veramente così? Se Welles fosse stato veramente un demonio intrattabile?
    Non lo so, credo vada rivisto però comprendo i tuoi dubbi.

    • Stefania / 5 Dicembre 2020

      @rustcohle: al 99,9%, Welles era un egocentrico di dimensioni inenarrabili e avere a che fare con lui doveva essere mooooolto complicato. Ma il film di Mank lo mostra solo come un fantasma nero che aleggia su Mank (per gran parte del film, è poco più di una voce al telefono), che fa il prepotente con lui quando Mank chiede di avere i crediti sulla sceneggiatura (ma, come viene ricordato anche nel film, Mank aveva firmato un contratto in cui diceva che non avrebbe potuto farlo), che prende la sceneggiatura di Mank e che sembra metterla in scena così com’è (senza fare accenno ai fondamentali e numerosi cambiamenti -documentati- intercorsi tra uno script e l’altro). Il film di Fincher non doveva essere un documentario, per carità, ci mancherebbe pure 🙂 Però, ha scelto con consapevolezza di esaltare Mank-uomo/Mank-professionista (che, evidentemente, merita una riscoperta) e Mank-simbolo (Mank-Don Chisciotte/Mank-scimmia del suonatore di organetto), deplorando Welles-uomo/artista, che, qui, a me sembra inteso esclusivamente come Welles-oscura metafora delle ingiustizie.

      • rust cohle / 5 Dicembre 2020

        Non sapevo dei documentati cambiamenti dello script in fase di scrittura, probabilmente allora hai ragione tu su questo punto, è difficile fare un biopic equilibrato nella caratterizzazione dei personaggi e probabilmente Fincher ha ceduto su questo aspetto del racconto però come dicevo nella recensione c’è talmente tanta carne al fuoco che, anche per un regista esperto come Fincher diventa difficile sviluppare tutto alla perfezione.
        E nonostante questo difetto nella caratterizzazione/descrizione di Welles a me il film è piaciuto, l’ho trovato proprio di gran classe e finalmente con un eccellente doppiaggio italiano(Stefano De Sandro top player).

        • Stefania / 5 Dicembre 2020

          @rustcohle: stavolta, ho optato per la versione in lingua originale (volevo sentire come Tom Burke avrebbe reso la voce di Welles e penso che abbia fatto un buon lavoro).

      • Catoblepa / 5 Dicembre 2020

        F for Fincher. Forse che racconti una storia in bilico tra realtà e finzione (propendente verso la finzione) sarebbe piaciuto proprio a Welles.
        Meno gli sarebbe piaciuto il modo in cui è ritratto.

        • Stefania / 5 Dicembre 2020

          @catoblepa: esattamente! 🙂 E, forse, come ha già scritto qualcuno decisamente più esperto di me, non sarebbe piaciuto neanche a Mank.
          Poi, lo stesso Fincher ha dichiarato (intervista a Il Venerdì della scorsa settimana) che quel che è raccontato nel film è verità al 30%, per cui…

  3. rust cohle / 5 Dicembre 2020

    Concordo, mi piace pensarla così anche a me.

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