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Made in Italy

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Artefatto / 30 Ottobre 2020 in Made in Italy

Secondo me, i film di Ligabue vanno di pari passo con i suoi dischi. Ah, giusto per capirci subito, sono una fan della primissima ora che, a un certo punto, si è stufata di sentire lo stesso ritornello cantato con melodie diverse e con frasi sempre più fatte.
E, quindi, per me, Radiofreccia è genuino, sincero e riuscito come i dischi da Ligabue a Buon compleanno, Elvis; Da zero a dieci è ripetitivo come Miss Mondo, Arrivederci mostro e Mondovisione; Made In Italy, che, pure, ha vinto un Nastro d’Argento per il miglior soggetto, è pretenzioso come l’album omonimo.

Il Liga non si stacca dalla provincia e ci può anche stare, offre talmente tanto materiale, sa essere malinconica e originale, e quella emiliana lui la conosce bene, chevvelodicoaffare. Piuttosto, gli rimprovero il continuo tentativo di rendere forzatamente epici i personaggi e le situazioni di film e canzoni ispirate da quel contesto. Con Freccia, c’è riuscito, eccome, ma, come dire, buona la prima. C’era una sincerità disarmante, in quel film, una spontaneità e una efficacia (dovute all’amarcord? Io credo di sì) che mi pare che Ligabue abbia perso al volgere del millennio, finendo per dire/cantare/girare sempre la stessa storia, in anni diversi.

In Made In Italy, c’è il costante tentativo di creare battute e icone “da non dimenticare”. Probabilmente, lui lo conosce pure un Riko con camicie americane che guida ancora una Citroën DS o ha avuto a che fare con una parrucchiera Sara dagli occhi tristi bella perfino più della Smutniak, non lo metto in dubbio.
Però, tutto, nel suo film, mi è apparso artefatto (non so… vedi, il matrimonio nell’officina abbandonata, il viaggio a Roma… e perfino la sequenza ballerina sui titoli di testa), alla continua ricerca di un effetto “apperò” non richiesto. In più, zan zan, ci ha messo in mezzo pure una didascalica critica sociopolitica che, ok, male non fa, ma messa giù così sa davvero di poco, pur tentando di sfiorare, a un certo punto, I lunedì al sole di de Aranoa.

Bravo Accorsi, che, quando imbrocca il personaggio, è un piacere a vedersi, brava la Smutniak, nient’altro da segnalare.

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Il voto sarebbe un 6.5 / 20 Dicembre 2018 in Made in Italy

Terzo film da regista di Luciano Ligabue, ispirato al suo concept album dal titolo omonimo.
Il film si svolge in Emilia e segue la vita di Riko (Stefano Accorsi) tra il suo lavoro al salumificio, i suoi amici e la sua famiglia composta dalla moglie Sara (Kasia Smutniak) e dal figlio Pietro che sta per andare all’università (il primo della famiglia a riuscirci).
Si procede tra alti e bassi come quello che succede a Riko, stufo della sua vita e che deve anche affrontare una crisi coniugale; di poche parole, specialmente in casa, con un buon rapporto con gli amici. Riko è soprattutto arrabbiato con la società ed ogni tanto ha bisogno di dare sfogo alla sua rabbia (si nota in almeno tre circostanze).
Ligabue ne approfitta per tracciare un piccolo quadro dell’Italia, con le difficoltà lavorative, l’integrazione con i migranti (anche se appena sfiorata, bella però la scena del pranzo dalla famiglia indiana) e affronta anche il tema della depressione.
A volte si sorride, più spesso si riflette e purtroppo si assisterà anche a qualche evento tragico.
Buona regia e ovviamente ottima colonna sonora (se vi piace Ligabue che ha il predominio).

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Non il migliore, ma bello! / 1 Dicembre 2018 in Made in Italy

Ligabue riprende la macchina da presa e ci confeziona un film sui disagi e problemi di questa epoca, fatta di lavori precari, tradimenti e instabilità emotive, contornandoci della sua musica e della sua poesia.
Non sarà il migliore della sua regia (Radiofreccia non si batte ancora!) ma sa dosare come allora gli ingredienti giusti, per non cadere nel cliquè e nello stereotipo del film drammatico.
Insomma non il meglio, ma comunque un buon lavoro.
6,5.

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