Il ladro gentiluomo. / 6 Febbraio 2017 in Lupin III

Lupin è Occidente che si fa Oriente, e Oriente che nuovamente si occidentalizza, per poi divenire universale. Difatti, la creatura di Monkey Punch, liberamente ispirata ( o ”imparentata”, in quanto il protagonista è il nipote del ladro gentiluomo ) alla serie di romanzi di Maurice Leblanc ”Arséne Lupin”, è entrata a far parte del costume e della terminologia ( basta assegnare il termine ladro per ottenere l’equazione Lupin ) di mezzo mondo.
Trasposto dal manga in Cinemascope nel pilot del 1969, due anni dopo il suo esordio cartaceo, fu adattato nuovamente per la televisione l’anno successivo, per poi serializzarsi come anime nel 1971.
Rivolto a un pubblico decisamente più maturo, l’opera ha subito le influenze celebri dei maestri Miyazaki e Takahata, che ne hanno snaturato in parte i caratteri, rendendoli più eroici e altruisti, e contribuendo a stereotiparne le fogge anche nel tempo.
Grafica accattivante, schizzi veloci, subitanei e vivaci, stilizzati ( eppure definiti ), fanno della prima stagione un vero e proprio stendardo di abbozzi e colori, nonché di vivide impressioni. Lupin è libertà, incarnata da uno spirito verace e spensierato, che non dissimula il domani dietro un velo di incertezza e paura, ma che vive l’attimo nella sua inusitata eleganza, anche a scapito di un’accomodante sicurezza.
Generalmente legato a contesti nipponici o parigini ( con incursioni nostrane ) Lupin trova però nella prima serie animata terreno fertile per la sua indole, più arcigna e meno tollerante, ma pur sempre licenziosa e intemperante.
Pur mantenendo un impianto narrativo classico, dove il ladro è chiamato a dimostrare il suo ingegno compiendo dei furti, caratterizzati non da una mera sottrazione di un bene, ma da una prova di talento e capacità, vi è una forte introspezione dei personaggi, icone pulp che ne hanno poi contraddistinto il genere.
E così abbiamo Lupin III, con la sua inseparabile Walther P38, che trova tra le mani del ladro quasi un inno alla non violenza, in quanto usata da quest’ultimo solo in poche occasioni. Enormi basettoni a incorniciare un viso scimmiesco, voluto dal suo autore per dare al protagonista, che spazia nel suo excursus fra gioielli, denari e belle donne, quasi un limite che lo avrebbe avvicinato al tipo comune, riuscendoci; è il ladro per eccellenza dell’universo animato.
Dotato di un carisma fuori dall’ordine, Lupin è il naïve e l’inventiva che si incrociano, in un agglomerato di gag e trovate dal sapore tipicamente libertino.
I comprimari che abbracciano il suo mondo sono in realtà assoluti protagonisti, in quanto sintomatici del suo spirito, sebbene profondamente diversi gli uni dagli altri.
Abbiamo l’investigatore Zenigata ( Zazà ), ispettore capo dell’ICPO, che rappresenta in apparenza la nemesi di Lupin, il suo antagonista per eccellenza, eppure nei suoi tratti distintivi e caratteriali vi è più Lupin di quanto si possa immaginare. Nel ladro trova la sua raison d’être, nonché il suo paradigma ribaltato d’ordine costituito. Una figura cruciale che nelle serie successive perde un po’ di spessore, acquistando però una genuinità formale.
Vi è il trio di anime che accompagna nei furti il probo ( mica tanto ) corsaro: Daisuke Jigen, suo insostituibile e inseparabile partner, nonché migliore amico. Barba folta e spessa, con un borsalino grigio e nero che gli copre costantemente gli occhi, come a voler celare un passato e uno sguardo verso il futuro. Lo stesso cappello, oltre a conferirgli un’aura da pistolero del west, serve allo stesso per prendere la mira e dare alla sua Smith & Wesson l’opportunità di colpire. Un colpo che arriverà sempre al bersaglio, data la sua immensa abilità.
Ruvido e introverso, con un perenne mozzicone spento di Pall Mall tra le labbra, funge da figura fraterna per l’amico, riservandogli consigli e propinandogli prediche, ma alla fine della giostra rimarrà sempre fedele al suddetto, scambiandosi con lui risate e sigarette.
Fujiko Mine: procace e scaltra girovaga in cerca di interessi. Ricopre il ruolo della gatta ladra per antonomasia, che per il denaro è pronta a tutto, perfino a tradire abitualmente Lupin. Capelli castan ramato e un corpo sinuoso e affascinante, è l’interesse amoroso di Lupin, che per lei è pronto a misurarsi con il suo genio e con la sua brama di possederla. Nel manga e in questa prima serie la sua immagine è profondamente legata al sesso e alla passione, non disdegnando anche una certa vena romantica. Difatti, i due ladri rappresentano quasi le facce di una medesima medaglia. Una, incarnata da Lupin, che cerca disperatamente di ottenere ciò che gli sfugge, di rubare l’astratto di un’emozione; e l’altra, quella di Fujiko, simboleggiata da uno spirito indomito ed egoista, che vede però nel ladro gentiluomo non solo una grande opportunità di guadagno, ma una sorta di ideale di un sentimento, che per profitto, la stessa, decide di recidere, non riuscendoci a volte.
Goemon Ishikawa: samurai discendente di una famiglia di ladri. Rappresenta forse l’unica labbia orientale dell’opera, contrassegnata da un’impronta tipicamente occidentale. Schivo, frugale, solenne ed estremamente virtuoso, i suoi fendenti di lama bianca sono una delle più grandi risorse a favore del gruppo. Fa la sua prima apparizione proprio nella prima serie, andandosi a incastrare come atipico pezzo finale in un puzzle di adorabili malandrini.
L’unica pecca è rappresentata dal dialogo italiano, e dai notevoli tagli, che però non riescono a ledere in fondo la poetica di base dell’opera.
Da lodare l’intera colonna sonora firmata da Norio Maeda, Charlie Kosei e Takeo Yamashita, melodie, melanconiche e romantiche, che serpeggiano nel cuore come un madrigale.

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