ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
E’ doverosa una premessa.
Concorderemo tutti sul fatto che, da diversi anni a questa parte, il cinema italiano sta andando alla deriva, o forse sarebbe addirittura meglio paragonarlo a una barca in secca. Sono pochissimi e perlopiù casi isolati i film nostrani che riescono ad emergere tra un cinepanettone e un’orrida ”commedia” di Brizzi.
Tra tutti quelli che sguazzano ormai da tempo in questa merda (mi verrebbe difficile trovare altre parole con cui definire la situazione), un encomio va sicuramente a Paolo Sorrentino, un regista eccezionale fin dagli esordi, capace di spiccare tra tutti gli altri, tanto da farsi notare da Sean Penn a Cannes, fino a girare un film con lo stesso attore.
Sono degli ottimi risultati per un artista che li merita appieno.
E, parlando di esordi, arriviamo alla recensione de ”L’uomo in più” (2001) con Toni Servillo e Andrea Renzi.
Si parla di due uomini, lavori, scelte di vita, carattere diversi, che condividono lo stesso nome: Antonio Pisapia. Ma c’è dell’altro; entrambi, il primo (Toni Servillo) un noto cantante e il secondo (Andrea Renzi) un calciatore che ambisce al ruolo di portiere, sembrano avere il mondo in tasca, ma vedranno crollare le loro vite in seguito ai fallimenti, nel primo caso determinati dall’arroganza e dalla spavalderia, mentre per ”Antonio calciatore” si tratterà dei sogni, ai quali rimarrà appeso fino al suicidio.
Come non ricordare una delle ultime battute di Tony Pisapia, secondo cui la vita, in fondo in fondo, ”è ‘na strunzata”.
Sarò ripetitivo, lo so, ma è un grande film d’esordio per un grande regista, e il merito è anche della straordinaria interpretazione di Servillo, che sovrasta la scena.
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