Recensione su Strade perdute

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Gli oscuri abissi della mente. / 17 Dicembre 2013 in Strade perdute

Guardare un film di David Lynch vuol dire addentrarsi in un tortuoso labirinto umano e onirico, significa in un certo qual modo tentare di accettare una non realtà parallela alla nostra in un contesto (in)compiuto, nel quale non vi sono evidenti punti di riferimento e non vi è logica, come noi siamo abituati ad intenderla. “Lost Highway” (Strade Perdute) è forse, sotto questo punto di vista, uno dei film più esemplari del maestro, nel quale tutto si scmpone e ricompone? in un andirivieni di situazioni e personaggi misteriosi, enigmatici, inquietanti e disperati. Una storia nera, infatti il film può benissimo essere catalogato come un “neo noir “, attraverso la quale Lynch conduce lo spettatore in un viaggio maledetto e senza via d’uscita nei menadri oscuri delle personalità umane. Tentare di incaponirsi nel trovare a tutti i costi un qualsivoglia significato ad una delle ultime pellicole del regista, comprometterebbe, senza dubbio, la visione dell’opera stessa a scapito del piacere personale di assistere ad un cinema purissimo, formato da riprese sublimi e sinistre e da atmosfere buie, tipiche di quei noir anni 40, offuscati dal fumo e popolati di anime dannate e Dark Lady irresistibili e fatali. La storia, o canovaccio che dir si voglia, è il classico specchietto per le allodole per David Lynch, il quale non si cura della linearità, mostrandoci quasi due film, due storie che ne formano una sola, fra attori che si sdoppiano e personaggi che cambiano, mutano in preda alla personale disperazione. I film si apre e si chiude con, forse, l’unica certezza di una storia che non ha nulla di rassicurante, una voce annuncia: “Dick Laurent è morto”. La giostra ha inizio (ma non un’ effettiva fine) e le marionette/attori di Lynch muovono i loro passi nel labirintico tunnel della mente, in un contesto tetro ed impazzito, avvolti nella luminosa oscurità di una Los Angeles più che mai spettrale e teatrale.
Un noir degli anni ’90, atipico per il decennio quale appartiene, ma del quale ne diventa uno dei film più importanti, curiosi e rappresentativi, carico di un espressionismo postmoderno figlio di un autore unico, personale e riconoscibile quale è e sarà sempre David Lynch. Attori convincenti con una Patricia Arquette bellissima Femme Fatale.

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