Un lucido racconto di grandi contraddizioni / 6 Aprile 2018 in L'ordine delle cose

Benché scritto e messo in cantiere ben prima della firma del memorandum d’intesa (Mou) per il contrasto dell’immigrazione illegale stretto fra Italia e Libia nel febbraio 2017 e terminato poco prima dell’entrata in vigore del decreto Orlando-Minniti (approvato in aprile e operativo dall’agosto 2017) che regola le procedure di richiesta di asilo in Italia, il film L’ordine delle cose di Segre disegna con un certo senso vaticinante e disarmante chiarezza (con semplificazioni inevitabilmente legate alla forma cinematografica adottata, che non è quella documentaria a cui il regista, peraltro, è avvezzo) la situazione tragica e paradossale che i migranti subiscono nei centri di detenzione libici.

Il film di Segre è interessante non solo per via dell’argomento trattato, di impellente attualità, ma anche per la rappresentazione che viene data del protagonista, un funzionario governativo italiano estremamente capace ed efficiente, che riassume in sé le contraddizioni che derivano dal suo ruolo istituzionale e dalla sua morale personale.

L’ordine delle cose ci ricorda dolorosamente che siamo sempre disposti a sacrificare qualcosa o qualcuno, quando reputiamo che la nostra sicurezza personale (lo status quo a nostro favore) ha un valore prossimo all’intoccabilità.
Per quanto l’uomo sia un animale sociale, è, prima di tutto, un animale e, in quanto tale, trova naturale (per motivi istintivi e costitutivi) anteporre l’interesse privato a ogni altra cosa.
Chiamala, se vuoi, sopravvivenza.

In questo senso, uno degli aspetti più intriganti del film risiede proprio nel fatto che il personaggio di Corrado Rinaldi (un efficace Paolo Pierobon) non sembra completamente esecrabile: le sue scelte sono supportate da una serie di leggi e accordi (quelle, sì, da biasimare) che non pone nelle condizioni di poter agire in piena coscienza se non a costo di diventare colpevole perseguibile penalmente. Poiché Rinaldi non è un eroe, ma, a fronte dei successi (sportivi, lavorativi, personali), si rivela suo malgrado un ominicchio di sciasciana memoria, egli sceglie di mantenere inalterato L’ordine delle cose, delle sue cose: una bella casa, un ottimo lavoro, una bella famiglia.

Tecnicamente, il film si distingue per la regia pulita, la bella fotografia e una buona definizione dei personaggi.
Se proprio devo trovare un difetto al film, a Segre rimprovero una cosa in particolare: la ricerca della particolarità a tutti i costi, applicata soprattutto al protagonista. La scherma, la mania per la simmetria e l’ordine formale, la collezione di sabbie… Tutto è funzionale a definire il carattere peculiare di Corrado e ha perfino un valore che non tardo a definire simbolico: ogni cosa è ben giustificata nell’economia del racconto. Ma questa sovrabbondanza cozza leggermente contro i miei gusti personali.

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