Il cinema come luogo del sogno / 2 Agosto 2019 in Un lungo viaggio nella notte

Il ricordo di un amore perduto, quante volte abbiamo ascoltato questa frase nei film di Wong Kar-wai? E infatti questo noir onirico, diretto dal giovane regista Bi Gan, deve molto al racconto per frammenti non lineari del maestro hongkonghese, e, aggiungerei, di molta parte del cinema orientale degli ultimi anni. Ci ritroviamo risucchiati all’interno di una rappresentazione multilayer, una vicenda dove memoria, sogno, presente, passato, vero, falso, perdono qualsiasi consistenza e risulta davvero faticoso cercare di ricostruirne perfino i punti principali, che ricompaiono ciclicamente senza mai essere chiariti: una ragazza conosciuta anni prima e di cui si sono perse le tracce, un libro, una fotografia, un assassinio, il boss appassionato di canto.
Tornano continuamente alla mente le sequenze oniriche del cinema di Andrej Tarkovskij, con molte ambientazioni in analoghi luoghi abbandonati e fatiscenti, come pure l’estetica visionaria di David Lynch.
La seconda parte del film è una lezione di cinema, non tanto per l’incredibile lungo piano sequenza (59 minuti), virtuosismo in cui recentemente si sono cimentati in molti, grazie alle più maneggevoli attrezzature digitali. E’ una lezione di cinema per la sua forza ipnotica e le suggestioni di un viaggio magico ma al tempo stesso realistico, un viaggio girato in 3D che non a caso ha inizio in una sala cinematografica, il luogo fisico dei sogni.

Con l’apertura economica all’Occidente, la Cina è pronta a svolgere un ruolo autoriale nella cinematografia mondiale, potendo contare su una scuola di attori eccellenti, che si sono fatti le ossa nei film hongkonghesi e taiwanesi a partire dagli anni 80. Tra i grandi nomi cinesi degli ultimi anni va citato il compianto Hu Bo e il suo bellissimo An Elephant Sitting Still (2018), oltre ai registi già affermati come Jia Zhangke e Zhang Yimou, col quale negli anni 90 inizia l’avvicinamento tra cinema cinese d’autore e mercato occidentale.

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