Recensione su Lo chiamavano Jeeg Robot

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Semo (super)eroi de borgata… / 27 Febbraio 2016 in Lo chiamavano Jeeg Robot

Eccoci qui ed ecco un film che meriterebbe davvero il favore del pubblico. Senza pensarci su due volte.

“Lo Chiamavano Jeeg Robot” è un’ opera che si staglia dal restante cinema italiano per grazia di intenti e indisciplina produttiva, una storia come non se ne vedevano da tempo nel nostro paese, se si esclude il poco riuscito “Il Ragazzo Invisibile” di Salvatores, un film che si insinua con grinta verace fra le macerie del nostro cinema di genere scomparso, ingoiato e inglobato dalla televisione. Gabriele Mainetti debutta nel lungometraggio così, con questo piccolo asteroide cinematografico, destinato a sconquassare un po’ l’establishment, se di establishment si può ancora parlare, a far parlare di se e, di conseguenza, ad essere amato o odiato. Il regista capitolino dimostra un grande talento artistico e un’innata gioia nel saper mettere in scena questa vicenda nostrana che affonda le proprie radici nella borgata romana, sospesa fra la micro criminalità di quartiere e la genuina ingenuità di una classe sociale da sempre ai margini.

Claudio Santamaria nei panni del furfantello Enzo Ceccotti, ladruncolo misantropo che si nutre esclusivamente di budini alla crema, guarda solo film porno e campa di espedienti, diviene un invulnerabile super uomo dopo essersi tuffato nel Tevere ed essere entrato in contatto con una sostanza radioattiva fuoriuscita da alcuni barili. La sua vita, successivamente, muta quanto la sua struttura molecolare e preso coscienza di questa nuova forza inizia ad utilizzarla in maniera del tutto edonistica. Scassina bancomat, rapina furgoni portavalori, insomma, l’antitesi dell’eroe, perché in effetti Enzo ‘Jeeg Robot’ Ceccotti non è un eroe nell’accezione più comune del termine, ma è invece un povero comune disgraziato che vive nell’ombra, quasi un antieroe pasoliniano, un ragazzo di vita al quale viene donato un potere, mai cercato, ma che deve imparare ad utilizzare con i pochi mezzi (intellettuali) che ha a disposizione, quelli più genuini, quasi fanciulleschi.

Poi c’è Luca Marinelli nella gigantesca, forsennata, selvaggia interpretazione de ‘Lo Zingaro’, altro criminale romano completamente pazzoide e violento, il quale vive nel più totale culto di se stesso e di una fama sempre e solo sfiorata; si esibisce e canta come Anna Oxa o la Bertè e spacca teste e ammazza con la medesima naturalezza selvaggia che contraddistingue il suo ego votato al puro spettacolo. Un criminale di periferia che vorrebbe essere grande, ma ancora non riesce nell’intento, -ner botto- come lo chiama lui, e vive ai margini della stessa mala, alienato e sconnesso dalla realtà. Lo Zingaro è forse il personaggio più attraente e sfaccettato dell’intero film, un villain dall’umanità vulnerabile e assai sopita, un prodotto esemplare, demoniaco della Tv spazzatura odierna. Anzi, definiamolo pure una vittima di essa.

E infine c’è Ilenia Pastorelli, esordiente che interpreta la stralunata e fragile Alessia, ragazzotta orfana di madre e di padre, anch’essa al di là del bene e del male, cultrice assoluta della saga di Jeeg Robot, del quale guarda a ripetizione il dvd. Una figura innocente, pura e semplice che grazie alla sua purezza diverrà la chiave di volta che farà prendere coscienza all’eroe delle sue doti non comuni, riuscendo perfino ad umanizzarlo.

Tre personaggi forti, umani e ben caratterizzati che rendono credibile una storia dalla sceneggiatura potente e sempre ben bilanciata, nonostante una costante imperfezione alberghi in più di qualche scena, imperfezione che però contribuisce a deplastificare un genere e al tempo stesso a rigenerarlo e ad allontanarlo dai cinecomics d’oltreoceano , dipendenti dalla CG e da storielle sempre più malamente trasposte sul grande schermo.

“Lo Chiamavano Jeeg Robot” è infatti un film di cui andare fieri, un’opera prima colma di gusto, citazioni sfiziose e cultura pop –Lo Zingaro che si esibisce in una coloratissima interpretazione di” Un’emozione da poco” di Anna Oxa farà epoca e tendenza- oltre che ovviamente i continui e divertiti rimandi all’originale manga giapponese.

Ottime la fotografia curata e satura di colori esplosivi, pop per l’appunto, la colonna sonora, trainata da una reinterpretazione lenta e intimista della classica sigla tratta dal vecchio cartone e cantata dallo stesso Claudio Santamaria, e popolata di altri pezzi pop italiani, tutti inseriti al punto giusto e quasi sempre in concomitanza con un’apparizione del Marinelli/Zingaro, fino ad arrivare alla regia di Mainetti, perennemente focalizzata al puro intrattenimento, un Mainetti che non si prende mai sul serio pur credendo fermamente in ciò che sta facendo. Si diverte e vuole divertire ma lo fa con un rigore armonioso che avvolge chiunque, anche nelle scene più violente, verso le quali non si tira mai indietro.

Insomma, “Lo Chiamavano Jeeg Robot” è un film bello, riuscito proprio perché mai perfetto, è sporco a tratti grezzo, eppure sa cosa vuole raccontare con il coraggio un po’ guascone un pò incosciente di riprendere un discorso da troppo tempo orfano del nostro cinema di genere. Ed è anche per questo che il nostro Jeeg, volente o nolente, si trasforma in un (super)eroe. Si, proprio ‘n (super)eroe de borgata…

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