Recensione su Piccole donne

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Attualizzare alla perfezione un classico / 15 Gennaio 2020 in Piccole donne

Parto da una piccola premessa personale: non sono una fan di “Piccole donne”, anzi il rapporto che ho avuto con questo romanzo è sempre stato conflittuale.
Lo iniziai a dodicianni, convinta che in quelle pagine potessero esserci tutte le cose che amavo in un libro: amori, rapporti tra sorelle/amiche, e altre tematiche varie.
Purtroppo trovai la lettura oltre modo noiosa, e quel modo di vivere mi sembrò così lontano al mio.
Qualche anno dopo vidi il film con Winona Rider, un film che sprizza anni ’90 da tutti pori, più precisamente un film tipico degli anni novanta su un romanzo dell’ottocento: didascalico, il più possibile fedele al libro, lento con una fotografia color seppia che mi rendeva ancora più stantio il libro che tanto avevo odiato. L’unica cosa che trovai pregevole era Winona Rider, bellissima in quel film e affascinante nonostante (almeno così pensavo) la trama e il personaggio noioso.
Bene, m’imbatto quest’anno nel trailer del film della Gerwing, e qualcosa mi attira, vedo della freschezza, battute, colori.
Pur non avendo amato Lady bird, quindi non avendo grande stima per quella regista decido di dare un’ultima possibilità a Piccole donne.
Con mia grande sorpresa scopro una storia interessante, e capisco che la cosa che aveva mi aveva reso tanto affascinante Winona (a parte la sua bellezza gentile) era proprio il personaggio di Jo.
La Ronan (una delle attrici che trovo più interessanti nel panorama attuale) restituisce vitalità, energia, rabbia ma anche sensibilità misto a fanciullezza ad un personaggio che sembrava aver poco da dirci ormai.
La Gerwing però mette del personale sia in questo personaggio che nel lungometraggio, Jo non è solo un personaggio letterario, in lei vengono riversate esperienze personali, anche quotidiane.
La scena in cui si taglia i capelli è bellissima, vediamo lei fiera che per la famiglia si è tagliata “la cosa migliore che ha” come le dirà poi Amy, cerca di mostrarsi forte poi nella scena seguente la vediamo piangere, perchè alla fine è una ragazzina, con la sorella odiata Amy che la consola.
La scena è comica, perchè vera e ci fa avvicinare al loro piccolo mondo.
Qui Jo è sì la protagonista, ma le sue sorelle non sono più solo di contorno anzi, ognuno al suo momento di luce, una splendida Florence Paugh ci restituisce l’odiosa Amy in maniera divertente e buffa.

Come dicevo il racconto non è didascalico: la regista decide di raccontare la storia tramite flashback, che sono caratterizzati visivamente risultando più chiari e caratterizzati da colori pastello, mentre il presente (che narra la vicenda di Piccole donne crescono) è scuro, anche i vestisti sono più scuri.
In realtà sembra che la sua intenzione sia metacinematografica: nella parte del presente, non racconta solo “Piccole donne crescono” ma mischia quella storia a quella vera della scrittrice di Piccole Donne (la Abbott), e questo lo rende un film infinitamente più interessante.

Da qui SPOILER SULLA TRAMA

Una delle cose che mai ho capito era la storia tra Jo e Laurie e il rifiuto di lei, per poi mettersi con un prof messo così lì a caso.
Continuando a non amara l’epilogo di quella storia d’amore qua ci è stata restituita più umanità e realismo, proprio perchè il suo personaggio è stato fuso in qualche modo con la Abbott.
La scrittrice non si sposò mai e si mantenne appunto scrivendo libri, c’è chi dice fosse un’alcolizzata ma questa è tutta un’altra storia.
Bene anche Jo (che è il suo altererò) vuole scrivere, sposarsi con Laurie significherebbe rinunciare ai suoi sogni e ad una parte di sé stessa. In Laurie vede un ragazzino viziato, non un possibile compagno suo pari.
Ma a differenza dell’altro film e del libro, quando lo vede tornare sposato con Amy qua soffre, sa che non è l’uomo della sua vita (anche se ha accarezzato l’idea di sposarlo), ma vediamo il suo viso contorcersi, i suoi occhi abbassarsi.
Nel bellissimo dialogo di poche scene prima lei ha urlato a sua madre che le donne non sono solo sentimenti e amore hanno molto di più (qua ho sentito tanto la scrittura della Gerwing), ma che allo stesso tempo è stanca di essere sola, quindi vorrebbe accettare la proposta dell’amico.
Qui come un mattone lui torna con Amy, e alla bocca dello stomaco lo spettatore sente fastidio e dolore perchè forse molti di noi hanno provato quella sensazione di perdere una persona che davamo per scontata.
In tutte queste cose come dicevo subentra la realtà, la vita sentimenti veri e non stantii.
Ho molto apprezzato il fatto di aver cambiato il finale.
Nel film Jo va a pubblicare il suo libro “piccole donne” appunto (e qui capiamo che in realtà i vari flashback erano la costruzione del libro, in America invece sono stati pubblicati come libro unico), l’editore dice che glielo pubblicherà solo se la protagonista si sposerà alla fine del libro, e per amor di ciò la nostra eroina cede.
Bene questo è quello che è accaduto veramente alla Abbott, in piccole donne crescono (seguito del più famoso piccole donne), dovette far sposare la sua amata Jo, forse proprio per far un dispetto non la mise con Laurie ma con quell’antipatico professore come a dire: “Sicuri che la volete meglio sposata?”
La Gerwing quindi non essendo fedele al libro, ma forse all’intento originale dell’autrice, non fa sposare Jo con il bel Louis Garrel (autodoppiatosi in italiano in maniera atroce), ci mostra la scena della corsa sotto la pioggia in maniera ironica, lei che corre lui che l’aspetta si baciano, tutto in maniera esagerata e smielata (come a sottolineare la finzione), mentre a montaggio alternato vediamo Jo che guarda il libro che viene stampato, e di nuovo in maniera alternata vediamo un quadretto idilliaco della famiglia riunita, che è chiaramente presente solo nel libro.

Insomma un ottimo film, è divertente profondo, commovente, la Streep sembra nata per fare il piccolo ruolo della Zia Marge, divertente e pungente.
Magari è un po’ troppo lungo, e sinceramente non ho apprezzato per nulla Emma Watson che mostra ancora di più i suoi limiti in un cast così azzeccato e in forma.
La sua Meg ha anche la storia meno interessante, ma l’ho trovata davvero monoespressiva e priva di carisma, è una delle poche cose che non mi sono piaciute nel film.
Ad una seconda visione magari l’ho trovato un po’ troppo lungo, e alcune cose troppo indagate nello specifico quando potevano essere tagliate, ma rimane un ottimo prodotto, anche innovativo, un ottimo esempio di come trasportare un’opera letteraria in un film, rispettandola ma creando qualcosa di nuovo.

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