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Piccole donne

/ 20197.2235 voti

Infantilismo esasperato / 8 Gennaio 2022 in Piccole donne

Un infantilismo esasperato; episodi strappalacrime; l’eccesso stucchevole di buoni sentimenti, che culmina nella grottesca visione finale di felicità e armonia: Piccole donne di Greta Gerwig è tutto questo. Certo, così è in parte anche la sua fonte; ma davvero non c’era nel libro della Alcott nulla di più interessante cui dare maggiore risalto? Il film accenna a un abbozzo di polemica sul ruolo delle donne in una società ancora patriarcale – un tema su cui la Alcott era in anticipo sui tempi – ma lo fa senza alcun mordente. Forse sarebbe stato più onesto etichettare il film come rivolto a un pubblico non adulto, e risparmiare allo spettatore maggiorenne due ore e un quarto di melensaggini.

Anche cinematograficamente la Gerwig ha poco di interessante da dire: le due linee temporali lungo cui si dipana la vicenda sono spesso difficili da distinguere di primo acchito, rendendo il film un puzzle in cui decifrare minuscoli indizi. Non ho nulla contro queste trovate formali, anzi; ma devono essere eseguite con competenza.

A salvare il film dalla rotta completa ci pensano gli attori protagonisti: Timothée Chalamet si cala nella parte di Laurie con una facilità impressionante, mentre Saoirse Ronan rende credibile il fascino che promana da Jo March – e non solo grazie al suo bel viso.

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La spiegazione del finale di Piccole donne di Greta Gerwig / 28 Novembre 2021 in Piccole donne

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Greta Gerwig ha sentito il bisogno di riproporre alle nuove generazioni la storia delle sorelle March creata nella seconda metà del XIX secolo dalla scrittrice Louise May Alcott, suggerendo uno sviluppo (quasi) alternativo della nota quadrilogia letteraria, per dare alla Alcott “un finale che le sarebbe piaciuto” (come dichiarato in una conversazione con il collega Rian Johnson https://tinyurl.com/4yc8wxs6).

Il film si concentra sui primi due libri della Alcott, Piccole donne (1868) e Piccole donne crescono (1869). Rispetto alle altre trasposizioni cinematografiche di questi classici per ragazzi, la sceneggiatura della Gerwig contempla l’uso del flashback e la narrazione del film inizia in media res, con Jo (Saoirse Ronan) a New York, impegnata ad affermarsi come scrittrice.

Presente e passato abbastanza recente si intrecciano continuamente e vengono portati in scena tutti i momenti salienti dei famosi romanzi della Alcott: la nascita dell’amicizia con Laurie (Timothée Chalamet), i vari “scontri” tra Jo e Amy (Florence Pugh), il clamoroso taglio dei capelli di Jo, la morte di Beth (Eliza Scanlen), ecc.
Alcuni dettagli sono stati svecchiati e modernizzati (per esempio, Jo e Laurie quasi pogano, ballando; Jo indossa dei pantaloni, sotto le gonne; c’è qualche momento -molto didascalico- antisegregazionista e antirazzista).
Ciò che la Gerwig ha deciso di modificare in modo emblematico è il finale.

Sullo schermo, la sovrapposizione temporale si assottiglia fino ad annullarsi e, infine, dividersi in due tronconi, grazie ai quali il pubblico finisce per assistere a due finali: quello del romanzo autobiografico che Jo riesce a pubblicare (A) e quello del film (B).
Il finale A mostra Jo correre dietro a Friedrich Baer (Louis Garrel). Viene sottinteso il matrimonio tra i due e viene raccontata la creazione della scuola di Jo nella casa della zia March (Meryl Streep), in cui tutte le sorelle e Baer sono coinvolti.
Il finale B mostra Jo al cospetto del suo editore che tratta sul compenso relativo a un romanzo che potrebbe diventare un bestseller. Per ottenere le condizioni migliori, Jo accetta di modificare il finale e, accondiscendendo alle richieste dell’editore (e del mercato), cede sul destino della protagonista e accetta di farla maritare.

A sua volta, il doppio finale del film si presta ad almeno due interpretazioni:
1. la Jo del film ha scritto un romanzo che si basa sulle sue esperienze personali. Però, lo vende con un finale diverso rispetto a quanto accaduto nella “realtà”.
Cioè, lei non ha sposato Baer (e Baer, in questo senso, è mai esistito?), ma ha concesso al proprio alter ego letterario un matrimonio socialmente convenzionale, immaginando che questo possa rappresentare un grimaldello per scardinare le menti e instillare sottotraccia nell’immaginario collettivo una serie di figure femminili rivoluzionarie.
A questo punto, sorge un dubbio spontaneo: quanto c’è di vero, nel resto della storia proposta in forma di romanzo dalla Jo del film? Quanto è “realmente” accaduto e quanto è frutto dei suoi desideri protofemministi?
In questo senso, inoltre, credo che la Jo che vede pubblicato il libro Piccole donne sia esattamente la Alcott (mi pare che il suo nome non venga mai pronunciato, nelle scene iniziali e finali in cui si presenta dall’editore).
2. (ipotesi meno probabile -vista l’espressione particolarmente soddisfatta di Jo, nell’ultima sequenza- perché indebolirebbe la forza dell’idea della Gerwig) la Jo del film ha scritto un romanzo che si basa sulle sue esperienze personali. Si è sposata con Baer, come nel romanzo della Alcott, ma prova comunque a vendere il romanzo con un finale diverso rispetto a quanto accaduto nella “realtà”. Infine, scende a compromessi, pur di venderlo, ma è convinta di poter instillare sottotraccia nell’immaginario collettivo una serie di figure femminili rivoluzionarie.

Qualunque sia l’interpretazione del finale “alternativo” così come è stato concepito dalla Gerwig, lo “scopo definitivo” della Jo del film è identico: resta da capire a quale versione fa più piacere credere.

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Altra trasposizione cinematografica del romanzo di Luis Mary Alcott / 11 Marzo 2021 in Piccole donne

1868.
A New York Jo March (Saoirse Ronan) cerca di vendere alcuni racconti a un editore locale; tornata
a casa riceve un telegramma dalla sorella Meg (Emma Watson) che la prega di tornare a casa perchè
le condizioni di Beth (Eliza Scanlen) sono peggiorate. Nel frattempo a Parigi Amy (Florence Pugh), dove vive con la zia March (Meryl Streep), cerca di inseguire il sogno di diventare pittrice.
Narrazione particolare che parte dalle piccole donne già adulte e poi attraverso i ricordi di Jo rivanga il passato (di sette anni prima), con l’amicizia con il sig. Laurence (Chris Cooper) e suo nipote Laurie (Timothee Chalamet) che conquisterà il cuore delle sorelle.
Film interessante, alterna momenti divertenti ad altri più seri (e tristi); non faccio paragoni con il precedente film del 1994 ma le attrici mi sono sembrate azzeccate. Inoltre interessanti la scelta di mantenere le stesse attrici per i ruoli nonostante il saltellare nel tempo.
Nel resto del cast da citare Laura Dern nei panni della madre delle Piccole Donne, Louis Garrel
è Friedrich, l’amico di Jo.

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Una piacevole sorpresa / 31 Agosto 2020 in Piccole donne

E’ un gran bel film femminile, la Gerwing riesce a riscrivere e a rendere attuale una storia molto lontana da noi che poteva risultare di un noia mortale come molti film fine anni ’90 inizio 2000 in costume (non parlo per forza di Ragione e sentimento ma è un buonissimo esempio). Si passa dal registro comico, al drammatico si piange e si ride e devo dire che la regista usa bene la macchina da presa. Il film prende in esame due libri piccole donne e piccole donne crescono, il primo è raccontato a flashback con una fotografia più luminosa e colori dei vestiti vivaci, mentre il presente ha una fotografia più desaturata. In realtà la Gerwing mischia oltrew i libri la vita vera della scrittrice con quella di Joe, e di fatto quelli che noi crediamo essere i ricordi sono la scrittura stessa del libro. Quindi a metà tra l’autobiografia e finzione si muove la storia, rendendo più umane queste ragazze, a volte anche infantili e divertenti (la scena del taglio di capelli esilarante). Su tutte spicca la Ronan che interpreta alla perfezione il ruolo lanciandosi alla fine su un monologo su cosa voglia dire essere donna oggi e non rientra in certi schemi, vero ora come allora. A differenza delle altre trasposizioni il film racconta tutte quattro le sorelle in maniera quasi equa e per me è stata una sorpresa la Pugh (Amy) ruolo difficile che poteva risultare antipatico ma al contrario nella sua frivolezza ruba la scena a tutti. La Streep c’è poco ma quando c’è nel ruolo di March illumina la pellicola con battute al vetriolo che poi tanto battute non sono. Timotee CHalamet pare come sempre uscito dall’800 quindi perfetto nel ruolo del friendzonato per eccellenza.
Per quanto riguarda Meg intrepretata dalla Watson è il ruolo che mi è piaciuto di meno, e l’ho trovato davvero recitato male, spiccando in mezzo a tante ottime performance.
Un intreccio metacinematocrafico per così dire davvero interessante e la regista si è liberata da una forzatura che come spiegato nel film, era imposta dalla casa di produzione cambiando quindi il finale dell’opera, rendendolo più vicino alla vita della Alcott
Rimane interessante tutto il discorso su cosa significhi essere donna, e ci viene mostrata 4 modi diversi di esserlo, che amare non esclude essere meno donna, come non amare e scegliere una strada percorsa e battuta più da uomini che dal “sesso debole”. E qui la Gerving sceneggiatrice e soprattuto regista veicola e si sovrappone a Joe: dice la nostra eroina le donne non sono solo belle hanno molto di più dentro hanno anima, cuore cervello ecc, esattamente come la regista che è passata dal ruolo di attrice appunto ad un lavoro battuto e percorso da uomini prevalentemente, e dice io posso esserlo come Joe poteva essere un scrittrice in un modo maschile, il tutto è detto senza falsa retorica o seguendo un femminismo spicciolo. Ottima visione veramente una bella sorpresa, anche per un uomo come me che di solito è allergico a questo tipo di film.

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Mah… / 7 Aprile 2020 in Piccole donne

Serviva davvero un altro remake?!
Brave le attrici, si, bello e ben fatto… ma basta!!
Ci sono mille bellissimi libri mai trasposti, perché continuate a riprendere sempre le stesse storie, col la convinzione che metterci del proprio possa spiccare rispetto ad altri lavoro gia compiuti…
I salti temporali poi, un ingarbuglio in più.
Mah, si rende noioso non per la storia ma perché è tutto un gia visto.
5.

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. / 22 Gennaio 2020 in Piccole donne

Potrà essere ben recitato, potrà essere buona la tecnica, potrà essere innovativo (ma è sempre una qualità l’innovazione?), quel si vuole…ma per quanto mi riguarda non lo trovo un prodotto riuscito, o almeno non riuscito rispetto alle aspettative (anche se mi ci sono approcciato lasciando a casa l’idea consolidata che mi ero fatto in anni e anni di Piccole donne sullo schermo, a partire dal film del 1949 con Elizabeth Taylor nei panni di Amy fino alla recente miniserie della BBC).
Più che le piccole donne qui torreggia su tutte e tutti una sola donna, Joe March, e tutto si può dire tranne che sia “piccola”.
Seguiamo gli eventi, intrecciati però secondo uno schema speculare tra passato e presente narrativo, quasi esclusivamente dal suo punto di vista, e ci può stare, ma le altre sorelle March restano sullo sfondo, da contorno. E diventa difficile cogliere, in questo saltare di continuo avanti e indietro nel tempo (chi conosce la storia può orientarsi, ma lo spettatore ignorante rischia benissimo di perdersi nella prima mezz’ora) secondo un ricamo fatto attorno alla sola Joe, il legame tra le quattro sorelle, quel profondo legame divenuto proverbiale nell’immaginario comune. Non c’è atmosfera, non c’è immersione, non c’è modo di empatizzare con loro, si resta lì ad assistere con poca partecipazione agli eventi senza riuscire davvero ad entrare nel cuore dei personaggi.
Piccole donne non è solo una storia di emancipazione e dignità femminile (ok, Joe March riesce con le proprie forze, la propria intelligenza e la propria indipendenza ad emergere lì, nell’America del secondo ‘800, in un contesto maschile e tutto quello che sappiamo, bla bla bla) ma è anche una storia di sacrifici piccoli e grandi, di carità (intesa come spirito di carità, non dimentichiamo che Mr March è un pastore protestante e Mrs March pratica in prima persona l’assistenza ai poverissimi della zona), di resilienza. di crescita, di formazione, di legami familiari indissolubili, di valori tramandati. Dov’è tutto questo? Non soffriamo il freddo con le March, non sopportiamo le privazioni (perfino la limetta agognata da Amy rappresenta un lusso eppure qui sembra giusto un capriccio da nulla) di quegli anni di guerra civile e ristrettezze (e quindi non possiamo comprendere né la gioia per l’abbondanza in quell’unico giorno di festa che è Natale, né possiamo comprendere il valore di quel sacrificio che fanno le quattro sorelle nel donare la loro colazione ai poverissimi), non siamo in ansia per Mr March lontano a combattere (e quindi non gioiamo al suo ritorno quanto dovremmo), non siamo eccitati per le feste da ballo, non ci infuriamo per l’acidità e cocciutaggine di zia March, non siamo con Laurie in tutti quei momenti in cui si lega sempre più a Joe (e in modo differente alle altre sorelle), non ci facciamo guidare dalla bussola degli insegnamenti di mamma March (altra vera donna forte della storia, fortissima e silenziosa, che tiene unite le sue quattro piccole donne e porta su di sé il peso della famiglia durante lontananza del marito) e di papà March, giusto per dirne qualcuna. Niente di niente.
Ma probabilmente lo scopo è proprio questo, non deviare la rotta dai binari prestabiliti, sfrondando la trama da tutto quello che è “sconveniente” in questi tempi moderni propagandisticamente demitizzanti e che distraggono lo spettatore dal vero tema della pellicola. Da questo punto di vista il risultato è centrato, ma il prodotto (tradito nello spirito) perde di anima.
Sulle scelte per il cast poco da dire, Saoirse Ronan è una delle attrici del momento come Timothée Chalamet è l’attore del momento, Emma Watson stavolta non riesce proprio a decollare (sarà anche per la rappresentazione che hanno voluto dare, qui, del suo personaggio Meg), Meryl Streep sprecata nel microscopico nuolo di zia March e piazzata lì solo come una bandierina, inspiegabile la scelta del francese Luois Garrel per interpretare il tedesco Friedrich Bhaer.
Voto: 5.5 , deludente.

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Attualizzare alla perfezione un classico / 15 Gennaio 2020 in Piccole donne

Parto da una piccola premessa personale: non sono una fan di “Piccole donne”, anzi il rapporto che ho avuto con questo romanzo è sempre stato conflittuale.
Lo iniziai a dodicianni, convinta che in quelle pagine potessero esserci tutte le cose che amavo in un libro: amori, rapporti tra sorelle/amiche, e altre tematiche varie.
Purtroppo trovai la lettura oltre modo noiosa, e quel modo di vivere mi sembrò così lontano al mio.
Qualche anno dopo vidi il film con Winona Rider, un film che sprizza anni ’90 da tutti pori, più precisamente un film tipico degli anni novanta su un romanzo dell’ottocento: didascalico, il più possibile fedele al libro, lento con una fotografia color seppia che mi rendeva ancora più stantio il libro che tanto avevo odiato. L’unica cosa che trovai pregevole era Winona Rider, bellissima in quel film e affascinante nonostante (almeno così pensavo) la trama e il personaggio noioso.
Bene, m’imbatto quest’anno nel trailer del film della Gerwing, e qualcosa mi attira, vedo della freschezza, battute, colori.
Pur non avendo amato Lady bird, quindi non avendo grande stima per quella regista decido di dare un’ultima possibilità a Piccole donne.
Con mia grande sorpresa scopro una storia interessante, e capisco che la cosa che aveva mi aveva reso tanto affascinante Winona (a parte la sua bellezza gentile) era proprio il personaggio di Jo.
La Ronan (una delle attrici che trovo più interessanti nel panorama attuale) restituisce vitalità, energia, rabbia ma anche sensibilità misto a fanciullezza ad un personaggio che sembrava aver poco da dirci ormai.
La Gerwing però mette del personale sia in questo personaggio che nel lungometraggio, Jo non è solo un personaggio letterario, in lei vengono riversate esperienze personali, anche quotidiane.
La scena in cui si taglia i capelli è bellissima, vediamo lei fiera che per la famiglia si è tagliata “la cosa migliore che ha” come le dirà poi Amy, cerca di mostrarsi forte poi nella scena seguente la vediamo piangere, perchè alla fine è una ragazzina, con la sorella odiata Amy che la consola.
La scena è comica, perchè vera e ci fa avvicinare al loro piccolo mondo.
Qui Jo è sì la protagonista, ma le sue sorelle non sono più solo di contorno anzi, ognuno al suo momento di luce, una splendida Florence Paugh ci restituisce l’odiosa Amy in maniera divertente e buffa.

Come dicevo il racconto non è didascalico: la regista decide di raccontare la storia tramite flashback, che sono caratterizzati visivamente risultando più chiari e caratterizzati da colori pastello, mentre il presente (che narra la vicenda di Piccole donne crescono) è scuro, anche i vestisti sono più scuri.
In realtà sembra che la sua intenzione sia metacinematografica: nella parte del presente, non racconta solo “Piccole donne crescono” ma mischia quella storia a quella vera della scrittrice di Piccole Donne (la Abbott), e questo lo rende un film infinitamente più interessante.

Da qui SPOILER SULLA TRAMA

Una delle cose che mai ho capito era la storia tra Jo e Laurie e il rifiuto di lei, per poi mettersi con un prof messo così lì a caso.
Continuando a non amara l’epilogo di quella storia d’amore qua ci è stata restituita più umanità e realismo, proprio perchè il suo personaggio è stato fuso in qualche modo con la Abbott.
La scrittrice non si sposò mai e si mantenne appunto scrivendo libri, c’è chi dice fosse un’alcolizzata ma questa è tutta un’altra storia.
Bene anche Jo (che è il suo altererò) vuole scrivere, sposarsi con Laurie significherebbe rinunciare ai suoi sogni e ad una parte di sé stessa. In Laurie vede un ragazzino viziato, non un possibile compagno suo pari.
Ma a differenza dell’altro film e del libro, quando lo vede tornare sposato con Amy qua soffre, sa che non è l’uomo della sua vita (anche se ha accarezzato l’idea di sposarlo), ma vediamo il suo viso contorcersi, i suoi occhi abbassarsi.
Nel bellissimo dialogo di poche scene prima lei ha urlato a sua madre che le donne non sono solo sentimenti e amore hanno molto di più (qua ho sentito tanto la scrittura della Gerwing), ma che allo stesso tempo è stanca di essere sola, quindi vorrebbe accettare la proposta dell’amico.
Qui come un mattone lui torna con Amy, e alla bocca dello stomaco lo spettatore sente fastidio e dolore perchè forse molti di noi hanno provato quella sensazione di perdere una persona che davamo per scontata.
In tutte queste cose come dicevo subentra la realtà, la vita sentimenti veri e non stantii.
Ho molto apprezzato il fatto di aver cambiato il finale.
Nel film Jo va a pubblicare il suo libro “piccole donne” appunto (e qui capiamo che in realtà i vari flashback erano la costruzione del libro, in America invece sono stati pubblicati come libro unico), l’editore dice che glielo pubblicherà solo se la protagonista si sposerà alla fine del libro, e per amor di ciò la nostra eroina cede.
Bene questo è quello che è accaduto veramente alla Abbott, in piccole donne crescono (seguito del più famoso piccole donne), dovette far sposare la sua amata Jo, forse proprio per far un dispetto non la mise con Laurie ma con quell’antipatico professore come a dire: “Sicuri che la volete meglio sposata?”
La Gerwing quindi non essendo fedele al libro, ma forse all’intento originale dell’autrice, non fa sposare Jo con il bel Louis Garrel (autodoppiatosi in italiano in maniera atroce), ci mostra la scena della corsa sotto la pioggia in maniera ironica, lei che corre lui che l’aspetta si baciano, tutto in maniera esagerata e smielata (come a sottolineare la finzione), mentre a montaggio alternato vediamo Jo che guarda il libro che viene stampato, e di nuovo in maniera alternata vediamo un quadretto idilliaco della famiglia riunita, che è chiaramente presente solo nel libro.

Insomma un ottimo film, è divertente profondo, commovente, la Streep sembra nata per fare il piccolo ruolo della Zia Marge, divertente e pungente.
Magari è un po’ troppo lungo, e sinceramente non ho apprezzato per nulla Emma Watson che mostra ancora di più i suoi limiti in un cast così azzeccato e in forma.
La sua Meg ha anche la storia meno interessante, ma l’ho trovata davvero monoespressiva e priva di carisma, è una delle poche cose che non mi sono piaciute nel film.
Ad una seconda visione magari l’ho trovato un po’ troppo lungo, e alcune cose troppo indagate nello specifico quando potevano essere tagliate, ma rimane un ottimo prodotto, anche innovativo, un ottimo esempio di come trasportare un’opera letteraria in un film, rispettandola ma creando qualcosa di nuovo.

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Le convenzioni si prendono a schiaffi da sole / 10 Gennaio 2020 in Piccole donne

Che roba anomala, Piccole donne di Louisa May Alcott. Un romanzo miracoloso, che esibisce le convenzioni e le fa prendersi a schiaffi da sole, annientandole. Per questo non è un romanzo per educande. Per questo, al cinema, in mano a registe donne, diventa necessariamente un manifesto. Per questo la sua genuinità è disarmante, in aperto contrasto col cinismo di cui ci siamo armati in questi tempi ma ugualmente efficace.

Poi Greta Gerwig fa un passo in più: introduce i salti temporali, che sembrano un’inutile complicazione all’inizio e poi a un tratto, nella scena madre, si spiega la ragione di questa treccia narrativa, ripagando dell’impegno richiesto.

Era il momento giusto per raccontare Piccole donne di nuovo e da esso farsi raccontare. I grandi e le grandi del cinema nuovo e nuovissimo si sono mobilitati per farlo. Ne è risultato un benvenuto innalzamento degli standard, un atteso acchiappa-Oscar e in definitiva una pietra miliare di questa era cinematografica. Me ne ritengo un fortunato testimone.

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