Recensione su L'industriale

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11 Aprile 2013

Vorrei portare rispetto a Giuliano Montaldo, perciò farò finta che questo film non sia parte della sua filmografia.

L’intento, ottimo e coraggioso, è quello di portare sullo schermo l’attualità: nessun cineasta in Italia, che io sappia, dacché è iniziata la cosiddetta crisi, ha tentato di descrivere i problemi legati alla gestione delle imprese (grandi o piccole) nel nostro Paese.
L’interessante disquisizione sulla seconda generazione di imprenditori che pare non riesca a tenere a galla l’azienda di famiglia è, inoltre, degna di nota: il confronto coi padri è sovente impari, nonostante l’impegno, e le contingenze storiche non contribuiscono a sanare i disavanzi.

Detto ciò…

La pellicola, inizialmente, sembra procedere nella giusta direzione, ma finisce per sbandare senza spessore verso il melodramma televisivo (e le interpretazioni degli attori sono all’altezza del paragone: Favino non riesce a tenere in piedi la baracca e la Crescentini è davvero imbarazzante), con spunti da fotoromanzo.
Non che la storia d’amore non potesse avere un determinato peso nell’economia del racconto, ma da qui a diventarne il perno, con tali soluzioni narrative, poi… mah: sono rimasta molto perplessa.
Pour parler, una delle perle negative è rappresentata dal parcheggiatore rumeno dai buoni sentimenti che lava le auto con sottofondo di musica classica. Un’altra è l’operaio coi baffi e la moglie tarchiatella. Un’altra ancora è il (palesemente) finto lavoro da architetto di grido della ricca moglie del protagonista… No, va beh, qui trascendo in questioni personali.

La fotografia desaturata, infine, anziché rendere algide le scenografie, le impoverisce e stanca solo la vista: non sono riuscita a considerarla un vezzo estetico pertinente. Insomma, gira a vuoto, come l’intero film, nel complesso.

Quindi… va beh. Vedi l’incipit.

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