28 Maggio 2011
Personalmente, amo molto il senso grafico francese ed il gusto transalpino per la caricatura. I lungometraggi di Chomet, nello specifico, appagano molto questa mia passione.
Credo che sia possibile cogliere appieno la ricchezza di dettagli di un film come questo solo sul grande schermo: le visioni “casalinghe” rischiano di depauperare un po’ la mole di lavoro di un’opera simile.
Chomet, come Miyazaki, è un artigiano nel senso stretto del termine e fa bene agli occhi ed al cuore vedere ancora in giro simili produzioni.
L’illusionista è una metafora contenuta all’interno di altrettanto metaforiche scatole cinesi: non è solo un racconto sul tempo e sulla crescita. Parla del paradiso perduto, dei bisogni mancati o nascosti, dell’ineffabilità del trascorrere, del trascolorare, del trascendere da una forma all’altra.
Malinconico, ma non decadente, tocca in maniera talvolta inaspettata alcune insospettabili corde.
P.s.: credo sia giunto il momento di vedere “qualcosa” di Jacques Tati.
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