10 Recensioni su

L'illusionista

/ 20108.1199 voti

7 Marzo 2015 in L'illusionista

Intriso fin nel più profondo di sentimenti nobili e di un amore malinconico, Jacques Tati riprende vita grazie ad una animazione puramente classica, poetica, emozionante ed evocativa, che respira cinema in ogni fotogramma. Tratto da una sceneggiatura del rinomato regista , mai arrivata al grande schermo, il film oltre che un grande omaggio allo stesso, usa << l'amore platonico senile come metafora disincantata della transitorietà di ogni magia, inclusa quella della vita; mentre il contrasto stridente fra vecchio e nuovo diventa una presa di coscienza disincantata su un progresso inevitabile>> (Mereghetti).

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Quando il 3D non serve / 13 Agosto 2013 in L'illusionista

Una storia poetica di un’illusionista la cui arte diventa anacronistica e superata a favore di nuove mode. L’incontro con la piccola Alice sarà illuminante per lui, drammaticamente illuminante.
Con un linguaggio che non è capibile ma non è importante, con dei disegni che non sono perfetti ma che invece in questo contesto sono eccezionali, con un’assenza totale di azione e frastuono ma che risulta invece pura poesia, quest’omaggio della figlia di Jacques Tati al padre è veramente una delizia. E si deve anche ringraziare Sylvain Chomet la regista già di Appuntamento a Belleville che è anch’essa una perla rara del cinema d’animazione.
“I maghi non esistono”
come le favole nella nostra vita quitidiana.
Prima o poi ci si sveglia nella speranza di non aver fatto danni.
Purtroppo c’è chi invece ne fa senza pensare al risveglio che prima o poi capita a tutti.
Ad maiora!

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9 Maggio 2013 in L'illusionista

Magico. Ogni scena è un’opera d’arte, e la mancanza di dialoghi rende più godibile il tutto. I personaggi di Tati non sono caricaturali, sono iper-reali, talmente perfetti nella loro fisionomia da risultare grotteschi. La storia poi, incredibilmente dolce, insopportabilmente dolorosa, che racconta il declino degli intrattenitori di un tempo: clown, ventriloqui, illusionisti, suonatori, uomini che facevano divertire con poco ma regalavano tanto, soppiantati ora da patinate boyband e jukebox. Fantastico comunque il cameo del gendarme del corto “La vieille et les pigeons”!

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13 Febbraio 2013 in L'illusionista

Chomet confeziona un film, su sceneggiatura di Tati, che è un capolavoro di eleganza e bellezza. E’ malinconico ( tanto da farmi versare qualche lacrima nel finale), ma anche dignitoso e divertente. Disegni, al solito, bellissimi e dei personaggi che vorresti abbracciare. Più bello di Les Triplettes de Belleville a mio parere.

23 Dicembre 2012 in L'illusionista

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Di questo si capiva benissimo che fosse da andare a vedere, l’autore, un francese, era lo stesso di Appuntamento a Belleville, che giusto voi che guardate solo Shreck potete ignorare cosa sia U_U suvvia, mastichiamo anche qualcosa d’altro.
Okok, calo. Qui riprende una sceneggiatura mai realizzata di Jacques Tati, e non è che possa fare tutto io e spiegarvi anche chi è Tati. Tati è da sapere.
E infatti il personaggio, un prestigiatore al tramonto della carriera, è palesemente un Tati redivivo, dentro e fuori. Timido e gentile, strampalato e divertente, a disagio nel mondo che evolve. Notare che parlano talmente poco (i personaggi di Tati non parlavano quasi mai) che nemmeno l’hanno doppiato. É tutto un “grunf, uahuah”. Questo mago alla ricerca di contratti si trasferisce da Parigi verso Oltremanica. Prima in Scozia, dove trova in una locanda una ragazzetta che lo adotta, e prende a seguirlo. E poi nello specifico a Edinburgo. Qui commozione mia, perché la città è riprodotta fedelmente ed è splendida e se non fossi andato in Australia io sarei troppo andato a Edinburgo, perché, a parte il tempo che è quel che è, è stupenda. I soldi non bastano, prova a fare altri mestieri. Che non gli riescono. Sullo sfondo altri artisti squattrinati, che le novità come il jukebox o le band per ragazzine stanno rendendo obsoleti. Un clown che si vuole suicidare, un ventriloquo che finisce per vendere la sua marionetta, la fine di un’era. Pioggia e tristezza. Alla fine il mago se ne va, torna in Francia, lasciando quella che era una ragazzetta ed ora è una ragazza felice e innamorata della vita (e del pitone! NO! Scusate XD! Noi denunciamo chi ruba!) e un cartello con scritto “la magia non esiste”.
Malinconia, nel cinema di Edinburgo scorre un film.. ma di Tati, ovviamente, mi pare Le vacanze di M. Hulot (o era Mon oncle? Boh).
La morale (o una delle morali) è che la magia non esisterà pure, ma serve comunque a qualcosa.

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Una poesia silenziosa / 22 Agosto 2012 in L'illusionista

1959, Parigi. Un prestigiatore vede avvicinarsi il suo declino. Spettatori annoiati, impresari disinteressati, guadagni risicati. Costretto a girare l’Europa in cerca di ingaggi, deve accettare partecipazioni in feste e pub, conservando comunque la sua dignità.
In un piccolo paese scozzese conoscerà una ragazzina che, entusiasta dei suoi numeri, vorrà seguirlo.
Ma il tempo passa e quei numeri, così come quelli di un pagliaccio e un ventriloquo, non interessano più.
Le pretese della ragazza cambiano, e cambia il mondo.
Il nostro illusionista vede il suo mondo travolto, il palco ormai è riservato alle star del rock and roll.
Un cartone animato praticamente muto, che tuttavia dice tantissimo.
Malinconico, garbato, dignitoso, evocativo. Aggettivi che vanno benissimo sia per il protagonista che per il suo film.

(Ps. Tati in una scena è mancino, in un’altra destro. L’ho notato solo io?)

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30 Ottobre 2011 in L'illusionista

Bello. Poco altro da dire. Un cartone fatto di luci soffuse, colori tenui, a tratti opacizzati, caldi, e tanti, infiniti dettagli di un mondo passato, che nessun digitale avrebbe potuto evocare in maniera così realistica.
Un insieme di bozzetti d’autore, su cui spicca la figura dell’Illusionista, essa stessa retaggio di un tempo andato, passato, sostituito da tv e rock band. Gli artisti di strada, con la loro magia, stanno sparendo e con loro un epoca fatta di piccole cose.
Non è necessario – anzi, sarebbe stato di troppo – il dialogo. Basta guardare, ascoltare i rumori e le sensazioni e le emozioni crescono anche in maniera più forte.
Non si può provare tenerezza per questo Illusionista che si improvvisa meccanico e tentenna dietro le quinte, aspettando di prendere il posto dei Brittons, la rock band del momento.
Un sentito omaggio a Jacques Tati ma anche un modo per dire che non di sola Pixar possono vivee bambini (e gli adulti). Un buon cartone, con buona pace di Steve Jobs, non ha sempre bisogno di una grande effettistica.
Bello. Non c’è altro da dire.

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31 Agosto 2011 in L'illusionista

Un illusionista ormai in erba in un periodo in cui i giochi sono svelati dalla conoscenza, dall’innovazione e nulla stupisce più, neppure i bambini ne restano colpiti.
Gli spettacoli in locali e cabaret sono un disastro per il protagonista di questo film d’animazione, ma scopre che esiste ancora qualcuno in grado di restare affascinato dalla sua arte ritrovandosi ad esercitarla in un pub scozzese.
Proprio in questo locale incontra una ragazzina che attratta dai suoi trucchetti decide di seguirlo.
Inizia così una storia fatta di sacrifici rapportati alla maturazione di un’era, alle pubblicità, alla televisione ed alla musica.
La mancanza di parole per l’intera durata del film (ad eccezione di qualcuna di rado) è compensata dalla varia e piacevolissima base musicale.
Le immagini colpiscono l’occhio, come vecchie copertine.
“I maghi non esistono”, ma le emozioni sì

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28 Maggio 2011 in L'illusionista

Personalmente, amo molto il senso grafico francese ed il gusto transalpino per la caricatura. I lungometraggi di Chomet, nello specifico, appagano molto questa mia passione.
Credo che sia possibile cogliere appieno la ricchezza di dettagli di un film come questo solo sul grande schermo: le visioni “casalinghe” rischiano di depauperare un po’ la mole di lavoro di un’opera simile.
Chomet, come Miyazaki, è un artigiano nel senso stretto del termine e fa bene agli occhi ed al cuore vedere ancora in giro simili produzioni.

L’illusionista è una metafora contenuta all’interno di altrettanto metaforiche scatole cinesi: non è solo un racconto sul tempo e sulla crescita. Parla del paradiso perduto, dei bisogni mancati o nascosti, dell’ineffabilità del trascorrere, del trascolorare, del trascendere da una forma all’altra.

Malinconico, ma non decadente, tocca in maniera talvolta inaspettata alcune insospettabili corde.

P.s.: credo sia giunto il momento di vedere “qualcosa” di Jacques Tati.

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1 Marzo 2011 in L'illusionista

Un illusionista perde gradatamente pubblico e attenzione, è la fine di un’epoca, siamo nel 1959, il mondo è in bilico su una nuova crisi mondiale (le locandine dei giornalai sparano titoli su Krusciov), ma soprattutto sta per volgere il crinale che spacca il novecento, l’avvento di una nuova visione del mondo, di nuove esigenze, di nuovi gusti, di una nuova generazione. E’ per questo che nelle grandi città, parigi, londra, l’attrazione del music hall, del cabaret di intrattenimento, scema a grandi passi, così come sono invase dal nuovo pop parabeatlesiano e dalla perdita della credulità, o meglio del fascino che certe arti emanavano (c’è un bimbo che sa benissimo che il fiore o il bicchiere è sempre nascosto da qualche parte nella manica del vestito del mago). Un disincanto totale che spinge il nostro illusionista venso le coste della scozia in un villaggio dove invece ancora gli eventi sono ammantati di magia e tutto è ancora spettacolo, l’accensione della prima lampadina elettrica come la comparsa di un coniglio da un cilindro. Qui le strade del protagonista incrociano una ragazzina che crede per davvero nel suo potere magico, i loro destini si uniranno, lui sarà incapace di risvegliarla dal suo convincimento fino all’epilogo finale.
Consigliato, soggetto di Tati, ottima la resa visiva, bellissimi i particolari di contorno (la ricostruzione di Edimburgo è fiabesca), il tratto grafico è demodè, ma molto espressivo, a tratti nervoso e pieno di spigolature. Tutta la storia è costellata di piccole lievi gag, molte ruotano attorno al coniglio nevrotico dell’illusionista.
La ragazzina cresce a contatto con la città: se il primo regalo lo riceve dal mago spontaneamente, gli altri saranno determinati da esplicite richieste indotte dai bisogni nati a contatto con le vetrine, le persone e le occasioni offerte da Edimburgo. E il nostro illusionista, immerso in doppi lavori, non si arrende a svelare la vera natura della sua arte che è illusione allo stato puro, gioco di schermi, riflessi di possibilità, ma slegata dalla realtà. La perdita dell’innocenza della ragazza quindi avviene solamente quando questa maturerà completamente.
Molto belli i piccoli ruoli marginali del clown alcolizzato, del ventriloquo e degli acrobati. D’altronde il pupazzo del ventriloquo, in vetrina da un trovarobe, si deprezza di settimana in settimana invenduto, senza più pubblico nè clienti.

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