9 Febbraio 2012 in Gli amori di Astrea e Celadon

Rohmer divaga su un testo del tardo rinascimento, continuando a parlare di ciò che gli è più caro, i rapporti fra persone, l’amore, la fedeltà, la fiducia.
Afferma di essere stato molto fedele al testo, estrapolandone la storia di 2 pastorelli che si amano anche se le loro famiglie si odiano, che si amano nonostante gli intrighi per separarli.
Questa storia semplice è completamente coerente agli stilemi bucolici di certa letteratura, il candore e la semplicità delle vesti, il rapporto strettissimo con la natura, la musica come componente integrante alla vita pastorale, un sincretismo religioso che ha sempre caratterizzato l’umanità fino all’avvento definitivo dei monoteismi. Un sincretismo religioso che tollera figure mitologiche e il trinitarismo, che ha un’eco cattolica, un insieme di pluralità di dei che governano la natura.
E’ un leggerissimo affresco, in cui l’ambientazione silvestre e la scelta degli attori sono tutt’uno con la storia, in cui ritorna il tema del doppio e del travestitismo, tipico stilema del mito greco e del rimaneggiamento rinascimentale, in cui le parti discutono e si schierano su cosa sia amore ed amare
temi atemporali e attualissimi.
Ma ciò che colpisce è soprattutto l’erotismo acceso di tutta la storia, dei gesti, dei rossori, delle pose pittoriche rubate ai quadri, un erotismo potente e insinuante, in cui basta una veste sollevata su una gamba e lo sguARrdo della cinepresa che vi si posa sopra per scavalcare tutte le scene di sesso possibili. Eppure Rohmer non si sottrae ad un accenno di nudità e alla storia che parla di desiderio dei corpi e delle anime, di illusione e sostituzioni di persone, anche di di genere, ma lo fa in maniera fortemente erotica, proprio perchè non banalmente esplicita.
Bello.

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