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Legend

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Recensione Legend / 11 Marzo 2016 in Legend

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Parte No Spoiler

Il candidato all’oscar Tom Hardy… e il candidato all’oscar Tom Hardy. Così annunciava il trailer, facendo comprendere forse fin troppo velocemente attorno a cosa questo film girasse: l’interpretazione fenomenale di Tom Hardy.
Il film è un adattamento cinematografico del libro di John Pearson “The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray”, il quale narra di due gangster, due fratelli gemelli indissolubilmente legati tra loro, che crearono un impero sulla Londra degli anni sessanta. Le premesse erano eccellenti ed è stato un vero peccato sapere che Brian Hengeland, regista e sceneggiatore dell’opera, non sia riuscito a soddisfarle. Dispiace, perché le sue opere in precedenza hanno emozionato, hanno saputo colpire i punti giusti per intrattenere lo spettatore di grande e piccolo schermo e fargli sospendere il fiato per parecchi secondi per la tensione.
Ho apprezzato come Hengeland abbia sceneggiato “Mystic River”, adattamento cinematografico del romanzo scritto da Dennis Lehane “La morte non dimentica”. Sono due opere che consiglio senza alcuna esitazione, dotate di una profondità che riesce ad angosciare il lettore (o lo spettatore, nel caso dell’opera cinematografica) fino al termine della narrazione, con colpi di scena piazzati nei momenti giusti ed anche con una certa eleganza. Non voglio scrivere un elogio a Lehane, potrei, ma preferisco scrivere qualcosa di più approfondito e specifico in un prossimo futuro. Non voglio sottrarre l’attenzione a “Legend”: qualche punto forte c’è, oscurato tuttavia da una pessima narrazione, il vero grande problema di questo film.

Un vero peccato che tali premesse siano sprecate su una narrazione lenta e a tratti incongruente. La psicologia dei personaggi primari è ben sviluppata, soprattutto per quanto riguarda quella di Ronald Kray, che soffriva di schizofrenia paranoide; Reginald è scritto bene nella prima parte, nella successiva succedono alcune cose che mi hanno lasciato interdetto. Il film narra di una storia realmente accaduta, mi rendo conto che la realtà dei fatti ha portato questi eventi, ma questi eventi sono stati raccontati male, c’è poco da discutere. Ci ritornerò in maniera più approfondita nella parte spoiler.

Già dalle prime immagini è possibile apprezzare quella fotografia de-saturata che permette di immedesimarsi nella pungente umidità londinese che accompagna i protagonisti in ogni momento. Non ci sono vasti paesaggi da lasciare a bocca aperta, ma ho trovato i tagli di luce molti interessanti. Ci sono state opinioni differenti a riguardo, alcuni credono che non sia nulla di eccellente, ma io non sono d’accordo; dal mio punto di vista ho reputato la fotografia fondamentale per l’immersione nella trama, mi ha fatto immedesimare in quella Londra morta e viva al tempo stesso, morta di giorno e viva di notte.

La controparte femminile di questo film è Emily Browning nei panni di Frances Shea, il personaggio che incontreremo fin dai primi istanti del film e che ci guiderà nel corso della trama narrando le vicende che interessano lei e la relazione distruttiva che avrà con Reginald. Ci racconta la storia, ci racconta la sua evoluzione, le sue speranze, ci racconta i suoi dubbi e le sue paure e ci racconta più di quanto ci viene detto dei protagonisti. In qualche modo sporca un po’ quell’ambientazione gangster che si sarebbe dovuta respirare, nonostante venga da pensare, talvolta, che sia proprio l’ambientazione gangster a cozzare spesso e volentieri con la storia d’amore tra Reginald e Frances. Di questo aspetto parlerò nella parte spoiler, motivando perché la narrazione risulta essere un unico (pessimo) filo conduttore.
Un buono sviluppo accompagna i gemelli Reginald e Ronald, il secondo più del primo, ma a brillare non è il mondo dei gemelli: è chi li interpreta.

Su Tom Hardy si potrebbe parlare a lungo: è un attore che mi è sempre piaciuto e mi sono piaciute complessivamente tutte le opere in cui ha recitato ma qui… qui è grandioso. Non è la prima volta che viene utilizzato un solo attore per recitare un ruolo gemellare né è la prima volta che i gemelli interpretati da un singolo attore sono differenziati, ma qui interpreta due persone completamente diverse! Non solo psicologicamente, ma pure fisicamente: Tom Hardy ci riesce. Non sembra vedere lo stesso attore recitare due ruoli differenti, l’impressione che viene data è che sullo schermo ci siano realmente due gemelli, tra loro simili, ma con marcate differenze che li contraddistinguono. Quando parlo di grande interpretazione di Tom Hardy mi riferisco non solo all’estetica differente tra Reginald e Ronald, non solo la capacità di saper interpretare due psicologie che per molti versi simili e per altri diametralmente opposte, parlo anche nel modo di parlare, di muoversi. Senza nulla togliere al doppiaggio italiano – che ho reputato eccellente – sono curioso di rivedere questo film in lingua originale proprio per gustarmi appieno l’interpretazione di Hardy, l’elemento principe che salva parzialmente questa pellicola.

Ora, avrei preferito unire l’aspetto tecnico e fornire una critica maggiore, ma questo film è una medaglia. Una delle due facce rivela aspetti puramente tecnici che rendono questo film di altissimi livelli; l’altra faccia distrugge ciò che di buono è stato fatto.

PARTE SPOILER:

Partiamo dai personaggi secondari: quasi del tutto inesistenti e, se presenti, ci sono solamente per riempire il film. In sala neppure avevo notato Paul Bettany, pur sapendo fosse presente. Vogliamo parlare della polizia? Dai primi istanti del film si deduce che i Kray sono strettamente sorvegliati dalla polizia, perché le prime immagini successive alla voce narrante di Frances ci mostrano proprio l’organo di polizia intento a sorvegliare Reginald Kray. Bene, io non ho mai avuto l’impressione che i gemelli si trovassero alle strette, non ho mai avuto l’impressione che fossero braccati. Perché utilizzare un attore del calibro di Christopher Eccleston (che interpreta il poliziotto incaricato di incastrare i Kray), metterlo lì di facciata senza svilupparlo e senza dargli l’importanza che avrebbe potuto meritare? Eccleston non è la prima volta che accetta ruoli che restano nell’oblio, nel dimenticatoio, che sviliscono il suo talento. Ad esempio Malekith in “Thor The Dark World”: un personaggio privo di profondità e di quella cattiveria che avrebbe potuto avere se fosse stato scritto bene. In “Legend” è uguale se non peggio, dato il numero contato di scene in cui ci viene mostrato.
Posso parlare di Bettany, posso parlare di Eccleston, posso parlare dei politici che a stento si intravedono e posso parlare anche dei gangster omosessuali che Ronald si porta dietro, leggermente più sviluppati rispetto i primi, ma nemmeno così tanto. Hanno deciso di inserire uno scandalo politico, ma è stato talmente frenetico e mal spiegato che l’ho compreso solo successivamente e per intuizione, ma ciò che è stato sbagliato è la narrazione.
A mio parere hanno voluto giocare su troppe tematiche: hanno inserito la storia malavitosa di due gemelli che hanno regnato su Londra, il rapporto conflittuale e psicologico tra Reginald e Ronald, la storia d’amore…

Il problema che pesa maggiormente sulla narrazione è proprio questo: Hengeland ha voluto darci troppe informazioni ed ha voluto raccontare troppe storie che hanno confuso e annoiato lo spettatore. La prima metà del film è scivolata: sono state spiegate attentamente tutte le dinamiche, tutte le relazioni e sono stati introdotti dei buoni pilastri, ma a quel punto avrebbe dovuto scegliere cosa perfezionare e perseguire quella sola strada. Tutte le informazioni che ci vengono date a partire dalla seconda metà del film, tutta la carne che è stata messa sul fuoco è stata fatta bruciare perché ce ne era troppa.
Nella seconda metà del film i Kray stringono un patto con la mafia italo americana per accordi che riguardavano i casinò, verso l’ultima metà viene detto a Reginald di liberarsi del fratello, ma non c’è stata nessuna conseguenza a riguardo, nessun approfondimento. Non mi è piaciuto come Reginald, il quale controllava i suoi stinti violenti, all’improvviso ha picchiato e stuprato la moglie, non mi è piaciuto come per un litigio, per quanto grave, abbia portato la stessa al suicidio. Non mi è piaciuto tutto questo per la mancanza di sviluppi relazionali, la mancanza di crescite psicologiche: tutto questo avviene quasi dal giorno alla mattina. Si parte da un punto iniziale in cui Reginald si innamora di Frances e si arriva al punto finale in cui quest’ultima si suicida, reggendo un solo ponte di false promesse buttate qua e là per tentare di fornire scarne spiegazioni.

Un altro problema è il ritmo lento, che nella prima parte serve a far comprendere i personaggi ed è giustificabile; nella seconda parte del film, in vista di tutta quella carne sul fuoco, lo spettatore comincia ad annoiarsi. Sono stato molto insofferente nei minuti finali, rendendomi conto che quel film mancava di una solida base, mancava di una trama. Questa è la verità: questo film è privo di trama. Ha delle situazioni che si relazionano tra di loro, ma nulla di più perché non si può dire sia un film puramente gangster, non si può dire sia una storia d’amore, non si può dire sia un film orientato unicamente sul rapporto psicologico dei protagonisti. È tutto e come tale risulta essere nulla.

Il rapporto psicologico tra i due fratelli è il male minore e si riesce a dare qualche spiegazione in più sul rapporto tra Reggie e Ronald. Sorvolando sulla interpretazione perfetta di Hardy, voglio soffermarmi sulla scrittura del personaggio di Ronald, a mio parere scritturato meglio. Mi è piaciuto come è stato introdotto, mi sono piaciute le frasi che nel pieno della sua follia dice: frasi spontanee, innocenti per alcuni tratti, private di ogni filtro e che solo un bambino o un pazzo potrebbero pronunciare. Questo punto è stato centrato alla perfezione, facendo comprendere quanto in realtà fosse fragile il rapporto tra lui e il fratello. Mi è piaciuto come è stato scritto, mi è piaciuto quella brutalità spietata e assassina che, al contrario del fratello, non riesce a contenere a causa della sua malattia. Mi è piaciuta anche la sua crescita psicologica: inizialmente appariva impacciato, quasi sembrava di trovarlo in una organizzazione criminale solo per volere del fratello, ma nel corso della storia vedremo invece un uomo che tutti temono, che tutti evitano, proprio perché impossibile da controllare e, a conti fatti, neppure il fratello ci riesce.

È notevole il montaggio, ma dal punto di vista tecnico si può dire poco data la sua perfetta costruzione. Non si può dire ci sia una morale e nel caso ci fosse è unicamente personale, dato che a conti fatti non trasmette alcuna reale sensazione. Questo film è semplicemente Hardy, ed è una limitazione perché questa pellicola aveva lo scopo di narrare una storia vera, che fosse o meno un adattamento. Non è riuscito nel suo intento, non è riuscito a parlarmi di una storia gangster, non è riuscito a parlarmi di una storia d’amore, non è riuscito a parlarmi della grandezza dei Kray, anzi, non ho mai realmente visto questo totale dominio sul territorio, non è riuscito a raccontarmi una storia psicologica, non è riuscito a raccontarmi neppure una morale e a partire dalla seconda parte è caduto in un baratro noioso e ripetitivo. Peccato!

Voto del film: 6

Tony K.L. Foster
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la pazzia è in tutti noi, solo che non tutti la dimostrano / 9 Marzo 2016 in Legend

Geniale l’idea di far interpretare i due gemelli allo stesso Tom Hardy. Un film che definirei carico di emozioni. Drammaticità e pazzia (non solo quella mentale di Ronald) allo stato puro in una vita che non poteva esser altrimenti. Un film che fa capire come è molto semplice cadere nell’illegalità ma allo stesso tempo come ci siano persone che cercano una vita corretta e semplice, vedi l’esempio di Frances. Do un meritato nove perché è un bellissimo film, non un 10 poiché non è e non sarà ricordato negli anni, non è un film “epico”, ma per i cinefili e per gli amanti del genere a parer mio è un capolavoro

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Romanzo criminale mancato / 6 Marzo 2016 in Legend

(Cinque stelline per un pelo)

Benché gli ingredienti per ottenere un film gradevolmente leggendario (oh oh oh) ci siano tutti (follia, buffa irrazionalità, humour nero, sberle a mano aperta in stile Bud Spencer, guardie e ladri, un contesto storico e sociale glamour come la Londra dei primi anni Sessanta), ritengo che il film diretto da Helgeland si risolva in una sorta di giro a vuoto per via di una sceneggiatura che non inquadra mai i propri obiettivi in maniera definita.
Accidenti, e dire che sto parlando dello stesso sceneggiatore (sempre Helgeland) di “robe” come Mystic River e L.A.Confidential!
Eppure, in Legend stupisce come la narrazione si sfilacci progressivamente cammin facendo, senza colpire mai nel segno e rendendo quantomai evanescente una buona parte del film (la seconda metà, in particolare).

Il rapporto tra i gemelli è privo di approfondimento (quello psicologicamente sano sembra “proteggere” l’altro in una sorta di freudiana repressione del proprio istinto animalesco, odi et amo, “io sono fragile, Reggie!”: ok, e poi?), quello tra Reggie e la fidanzata, pur rappresentato in maniera abbastanza scialba, quasi incolore, predomina sul filone criminale del racconto, che, in prima battuta, sembra essere l’asse portante della vicenda (una coppia di gangster tiene in scacco Scotland Yard e un’intera città), ma che non emerge mai realmente.
Non vediamo se, come e quando i Kray diventano realmente i “padroni di Londra”, i contorni delle loro attività illecite restano costantemente indefiniti e il necessario conflitto con le forze di polizia (rappresentato da quello che viene definito un detective pasticcione) è praticamente inesistente.

Confesso di essere stata ben predisposta al film dal trailer originale che, pur non rivelando troppo della storia (lodi lodi lodi), grazie ad un montaggio azzeccato, prometteva una scoppiettante crime story con tempi e personaggi che sarebbero tanto piaciuti al primo Guy Ritchie (possibile che non abbia mai pensato di mettere mano alla materia?): niente di più lontano dalla realtà.

Escludendo la più che buona prova di due Tom Hardy al prezzo di uno (pluripremiato in diverse occasioni, per questo doppio ruolo), del film di Helgeland non salvo molto altro: mi ha deluso anche la ricostruzione assai posticcia di una swingin’ London particolarmente impersonale, relegata praticamente ad un paio di esageratamente lunghe esibizioni della cantante Duffy in versione Timi Yuro.

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