Non necessario / 6 Agosto 2021 in Leatherface - Il massacro ha inizio

Chiariamolo subito: Leatherface non è un brutto film, ma fa storcere il naso e non poco.

La sua colpa è quella di sfruttare l’immagine di uno dei personaggi più amati del genere horror, cercando di spiegarne le origini molto alla lontana, prendendo le distanze dall’atmosfera contadina texana che dovrebbe essere alla base della storia, in favore di un’ambientazione perlopiù boscaiola. Si allontana inoltre dal genere slasher, a cui “Non aprite quella porta” è indissolubilmente e storicamente legato, privandoci di vere vittime da macellare e di un vero maniaco omicida. Non si teme realmente per qualcuno, mentre più accentuata è la componente splatter.

Una promettente scena iniziale lascia spazio a un’ora di narrazione che ci porta a credere di aver sbagliato film, per poi riprendersi giusto sul finale. Si presenta come prequel, ma è in realtà molto più simile a uno spin-off e basterebbe fare qualche piccolo taglio qua e là per poterlo vedere come un qualcosa di completamente nuovo e senza ricollegamenti con l’originale. Ecco, forse sarebbe stato molto più apprezzabile proporla come una storia neonata, solo ispirata nello stile a “Non aprite quella porta”, e avrebbe potuto benissimo fungere da base per la realizzazione di una saga cinematografica ex novo.

Una nota positiva è che, di tanto in tanto, si cerca di mutuare dal film del ‘74 lo stile raccapricciante, inserendo elementi effettivamente disturbanti, ma comunque scollegati dal personaggio di Leatherface e da tutto ciò che di lui conosciamo e vorremmo conoscere. Mi aspettavo di vederlo crescere in un ambiente malsano, discriminato per la sua condizione fisica e mentale, arrivando a sviluppare un atteggiamento aggressivo verso gli altri per il suo istinto animalesco, ma niente di tutto questo accade, o almeno non è palpabile. Si nota, piuttosto, una destrutturazione e rielaborazione di tutte le informazioni che il pubblico possiede fino a quel momento, fatto sottolineato in particolar modo dalla scelta di giocare con la concezione che gli spettatori hanno dell’anatomia e del comportamento di Leatherface, descrivendolo a tratti anche come una specie di antieroe. Un tentativo di svecchiamento assolutamente dispensabile che va a discapito di un vero e proprio approfondimento psicologico richiesto e necessario.
I Sawyer non sono gli unici pazzi sanguinari all’interno della pellicola, bensì vengono eclissati dalla follia di un manicomio che tocca l’apice in un momento di incontrollato caos, anche ben riuscito, ma che ancora una volta si discosta da quanto sopracitato.

In sintesi, non trovo queste origini in linea con il personaggio di Leatherface e con la sua pregressa caratterizzazione, ma trovo che il film sia gradevole, se decontestualizzato.

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