12 Settembre 2014

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Le storielle coi palestinesi piccoli e simpatici (è un filone a sé): Jafaar è un pescatore povero in canna (ah ah), una specie di Paperino palestinese, gli va tutto male, oltre al fatto che ha delle sentinelle israeliane sul tetto. Un giorno in barca pesca, d’emblé, un maiale vietnamita. Groink! Capirete come un certo qual stupore sia perlomeno giustificato. Che farne, di questo porco taboo per tutte le religioni del circondario? Prova ad ammazzarlo con un kalashnikov che si fa prestare ma niafà, si mette a vendere il seme del maiale a una israelo-russa di una colonia che alleva maiali per fiutare bombe. Le gag di lui che masturba il maiale. E ammazza quanto è stupido, lui, non il maiale, che mantiene invece un certo aplomb; tutti in realtà sono odiosi, groink, ci sono dei tizi che sono in pratica Hamas e sono insopportabili, e lo mandano a fare il martire. Figurati, Paperino, martire, ci siamo capiti. Ridicolo, come il tono scanzonato del film, sgangherato nella storia, pennelloso (ma che cazz?) nel disegnare degli scorci di quel posticino ammodo che deve essere Gaza City e la vita lì coi muri di proiettili traforati, retorico e pacifista e insensato (ah no, si dice surreale) nel finalone, con degli storpi acrobati sulle stampelle che ciao, non c’entravano un ca**o ma sai quante metafore volendo ci si trova, che insieme celasipoffà e mi hanno risollevato tutto e sarà che mi faccio prendere facile ma anche un filo sniff. O groink, a scelta.

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