3 Settembre 2014
Mi ha ricordato la barzelletta dei due inglesi, naufraghi su un’isola deserta, che non si parlano finché non giungono i soccorsi, poiché nessuno li aveva precedentemente presentati: la borghesia, con tutte le sue forme, con i suoi riti, con “questi vestiti così rigidi, fatti per le statue e non per gli uomini”, risulta prigioniera delle sue stesse convenzioni, e nonostante tutto ad esse fermamente aggrappata, fino alla fine – o meglio, finché non cade la maschera, e si rivela il substrato animale, corrotto, freudiano che l’etichetta vorrebbe nascondere. E infatti cosa permette ai nostri ‘naufraghi’ di scampare alla loro prigione? Riprodurre gli eventi della sera in cui la loro prigionia è cominciata ma rompere per una volta l’etichetta e dire a chiare lettere che sì, vogliono andarsene.
Quello che non amo di Bunuel è la sua evidentissima parzialità politica, ma mi ha colpito molto la metafora riferita alla fuga dei domestici, ‘come ratti che sfuggono a una nave che affonda’: simpatici, questi borghesi!
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