La solitudine…La solitudine – semicit / 25 Marzo 2024 in L'angelo dei muri

Non si dovrebbe dire all’inizio ma noi siamo poco studiati e quindi ce frega poco:
che meraviglia quest’opera di Bianchini, non vedevo un film italiano cosi bello dai tempi di Non Essere Cattivo.

L’Angelo dei Muri contiene tutto ciò che io considero di fondamentale utilità culturale: tecnica, sostanza, politica(cosa ormai sconosciuta al cinema italiano) e intrattenimento.

Il viso consumato di Pierre Richard che riempie lo schermo comunica tutto lo spettro emotivo di un essere umano senza spiccicare mezza parola, la solitudine, la vecchiaia, la disperazione ma anche la tenerezza e l’ingegno;
il suo mutismo è l’emblema dell’emarginazione, di chi non ha voce.

La regia di Bianchini è in grado di trasformare gli interni di un appartamento diroccato in un mondo su misura per il protagonista, non si disdegnano capovolgimenti di macchina, utilizzo di grandangoli in alcuni casi e tutto ciò che richiama il cinema horror.
Quello che ho apprezzato di più sono i piccoli dettagli, le azioni di Pietro Dossi(questo il nome del protagonista) nel presente che raccontano quello che era in una vita passata, es. l’ottima capacità manuale ci fa pensare che probabilmente era un artigiano o qualcosa di simile.

Oltre alla regia e alla sceneggiatura, scritta insieme a Fabrizio Bozzetti e Michela Bianchini, Bianchini ha curato scenografia e montaggio, c’è qualcosa che quest’uomo non sa fare?
Ah, dimenticavo, fotografia curata da nientepopodimeno che Peter Zeitlinger, collaboratore storico di Werner Herzog.

Un giorno qualcuno più esperto di me mi spiegherà perché questo cristiano ha girato 6 film in più di vent’anni e di questi giusto 2 hanno ottenuto un minimo sindacale di distribuzione e gente come Pieraccioni, Siani, Muccino, Genovese ne fanno uno ogni 2/3 anni;
sempre lo stesso spero mi spieghi se il film della Cortellesi è un capolavoro questo cosa è.
Cosi giusto per non farci mancare un po’ di polemica.

In conclusione, potremmo definire L’angelo dei Muri una favola orrorifica in cui l’orrore proviene dalla condizione umana e dalla coscienza dello spettatore di tale condizione e affranca da questo cruccio con la giusta dose di delicatezza e con un finale catartico e surreale.

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