Recensione su Lady Vendetta

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C’è il buon rapimento e c’è il cattivo rapimento / 4 Gennaio 2013 in Lady Vendetta

Con Lady Vendetta si conclude la “Trilogia della Vendetta” iniziata nel 2002 con Mr. Vendetta e continuata l’anno successivo dal celebre e pluripremiato Oldboy.

Con quest’ultima pellicola Park Chan-wook tinge di un altro colore la vendetta, discostandola dalla follia sanguinaria, dallo splatter e dalla violenza spettacolarizzata dei primi film, donandole la raffinatezza del bianco candido di cui può essere intriso solo un gesto gentile e il sorriso delizioso di una (Ma)donna che per la sua innocenza sembra splendere di luce propria. Il personaggio forse più completo e complesso della sua carriera, di cui (inizialmente) si stenta a credere che possa essere stata capace del crimine di cui si è accusata.

Tramite il viso diafano di Geum-ja, Park Chan-wook è riuscito a trasformare la brutale e sanguinosa violenza vista in Oldboy in una sofferta sete di redenzione. E non a caso è stata scelta una donna per chiudere il cerchio, “perché solo l’umanità femminile può trasformare la violenza in espiazione”.

Quella di Lady Vendetta non è una rivendicazione stile Kill Bill, non è solo sete di rivalsa. Il sangue è solo un sottofondo al disegno più grande progettato da Geum-Ja durante la detenzione. E’ solo un dettaglio rosso (scarpe, sfondi) a volte quasi impercettibile, ma onnipresente in ogni inquadratura che compone il film.

Lady Vendetta è la storia di una donna che perseguitata dai sensi di colpa cercherà, più che una vera e propria vendetta, di espiare per quel delitto che ha contribuito a compiere e che vorrebbe lasciarsi alle spalle.

Si sviscera la vendetta interiore, il dramma intimo, la voglia di riscattarsi l’anima. Di cancellare una colpa tanto grave indelebile come un tatuaggio sulla pelle. Come una cicatrice.
Un dolore così oltre che nemmeno la rinuncia più grande per una madre potrà alleviare. Potrà far sparire.

Anche se visivamente meno efferato di Oldboy, Lady Vendetta non perde in efficacia emotiva, ben più sottile e commovente del suo celebre predecessore. Enfatizzata moltissimo dalla presenza scenica di Lee Yeong-ae che ha saputo far trapelare tutta la lucida follia della seconda Geum-Ja. Quella che si trucca gli occhi di rosso per sembrare meno buona.

Park Chan-wook ha dimostrato per la terza (ma non ultima) volta, di essere un grande regista e sceneggiatore riuscendo a donare raffinatezza anche al più spregevole dei (ri)sentimenti, con un film che credo proprio sia il mio preferito della trilogia.

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