La vita di Adele / 27 Giugno 2020 in La vita di Adele
Se non il miglior film del decennio appena passato, uno dei migliori. Un film durissimo, che si presta a numerose spunti d’analisi. Il primo è sicuramente la splendida regia di Kechiche, mai così perfetto nella geometria delle inquadrature. Il secondo spunto che lancio è ciò che vedo in questo film, una deliberata provocazione a noi, uomini occidentali: abbiamo potuto vedere scene di sesso estremamente esplicite in questo film, quasi al limite della pornografia. Ma Kechiche ci sfida: siamo in grado di percepire il dolore nel lacerante dialogo tra Adele e Emma? E’ in grado il nostro sguardo di reggere quel momento di raggelante dolore, come è stato in grado prima di essere attratto dall’estasi del piacere?
Un terzo spunto di riflessione nasce invece dalla sceneggiatura, che vuole perfettamente rappresentare l’alienazione insita in ogni personaggio: Adele, lesbica e contemporaneamente proveniente da un mondo proletario e quindi non accetta dall’ambiente culturale di Emma. Emma, che vuole crearsi una famiglia in un ambiente a lei congeniale ma perde l’amore(un amore tanto corporale quanto spirituale come è quello dell’innocente Adele). Di mezzo tutta una serie di personaggi condannati ad un alienante mediocità. E’ davvero possibile fuggire a questa alienazione? A tale domanda, io non ho risposte

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