Recensione su La vita di Adele

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Guardare dal buco della serratura / 29 Ottobre 2016 in La vita di Adele

Proclamato e sbandierato da più parti non solo come il film dell’anno, ma anche come vero e proprio capolavoro della storia del cinema, “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche, vincitore all’ultimo festival di Cannes, si proponeva a me come film dalle grandissime aspettative. Purtroppo deluse. Perché l’opera del regista franco tunisino è sì un buon film sotto molti aspetti, e altrettanto può considerarsi un capolavoro qua e là, in dei frammenti, alcuni pezzi, piccoli e significativi dettagli: ma guardandolo nel suo complesso, “a campo lungo” per usare un lessico proprio del cinema, resta un prodotto incompleto, dove alcune scelte infelici e inadeguate avvelenano tutto il buono seminato qua e là, appunto. È un film “spinto” oserei dire, aggettivo che non solo è un chiaro riferimento alle molteplici e lunghe scene di sesso presenti nella pellicola, ma anche adeguato per descrivere l’approccio di Kechiche, spesso esagerato, esasperando e annoiando, ma soprattutto, ancor più grave, sfigurando la realtà, della quale lo stesso regista è uno dei massimi narratori del cinema.
Nella trama c’è poco da raccontare: è la vita di Adele, giovane adolescente che vive i momenti tipici di questa età, tra scuola e passioni letterarie, amici e divertimenti, ma soprattutto le pulsioni ormonali, affettive, che la fanno scoprire attratta non dall’altro sesso, ma dal suo stesso: si innamora di una ragazza più grande di lei, enigmatica e misteriosa, apparentemente più navigata e matura. È innegabile che l’autore riesca a raccontare tutto parlando un linguaggio cinematografico pressoché perfetto e confezionando sequenze di altissimo spessore. Adele è seguita in modo mai invadente in ogni momento della sua giornata, e di conseguenza in ogni grande passo della sua crescita personale da ragazza a donna, nei salti temporali che, sebbene evidenziati anche da un montaggio netto, che disseziona, che taglia un “prima” e un “dopo”, sono paradossalmente impercettibili, aiutando lo spettatore a muoversi con disinvoltura nella vita della giovane. Adele che, grazie alla premura, alla delicatezza cui le riserva Kechiche nel raffigurarla nei quadri più intimi e “banali” della sua esistenza, e grazie alla prova d’attrice mostruosa della sua interprete (l’esordiente Adele Exarchopoulos), diventa nostra amica e quasi amante: ci affezioniamo profondamente a questo personaggio, quasi che, a fine film, ci dispiace abbandonarlo, vedendolo allontanarsi nell’inquadratura verso il suo futuro per noi incerto, quanto per lei. Ma non si ferma a questo il lavoro del regista. Perché esagera. Non solo nella lunghezza esasperante della trama che, ripetendosi, non aggiunge, arricchendo, ma toglie, annoiando. Ma soprattutto diventa invadente proprio nel momento in cui è la stessa realtà, la vita, che ti chiede di farti da parte e chiudere la porta, per non vedere. La scelta infelice di mostrare a grande schermo i corpi nudi di Adele e la compagna nell’atto sessuale, tale e quale, senza filtri, è assurda, ingiusta. Perciò inutile. Perché sono queste scene che come mostri si “divorano” – perché è nella loro natura – tutto il resto del film. “L’amore è proiettato su schermo gigante, primo piano sul sesso, emozione permanente per maniaci”: queste parole di Michel Quoist trovano una relazione pienamente adeguata in questo caso. Il sesso non è un tabù: può essere narrato. Ma è il più personale e intimo tra tutti i temi, e anche il più pericoloso: perché riguarda l’amore, che invece tra tutti i temi è il più importante. Sempre sarà così. Saperlo narrare, però, è un’altra cosa. Perché il grande cinema mostra senza mostrare; e narra, ma come se spiasse dal buco di una serratura, come Degas, uno dei suoi precursori nella pittura, amava affermare riguardo la logica di composizione dei suoi quadri. Ma soprattutto insegna, con la discrezione e con la saggezza del suo autore.
Kechiche si è “spinto” troppo oltre. E questa “Vita di Adele” alla vita dello spettatore (ahimè più importante) lascia molto poco.

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