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La terra dell'abbastanza

/ 20187.164 voti

Storie di periferia / 5 Marzo 2020 in La terra dell'abbastanza

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

Sono riuscito ad acquistare il Blu Ray de La Terra Dell’Abbastanza e dopo una seconda visione è tutto più chiaro. Detto ciò, fare una descrizione dettagliata di quest’opera, senza banalizzarla e/o svalorizzarla, non è cosa da poco, non si tratta del solito film sulla periferia, dove i giovani imbroccano una strada sbagliata e poi ne pagano le conseguenze, non si tratta ne della solita critica alle istituzioni che ignorano e isolano determinate aree geografiche ne di quella alla criminalità organizzata.

Allora cos’è?

Una fotografia, una semplice fotografia di una realtà. Una realtà romana in questo caso ma che racchiude le realtà di tutte le periferie(italiane almeno) al suo interno. Non c’è giudizio in una fotografia, la guardi e basta, è quello che è. Allo stesso modo non c’è giudizio e soprattutto non c’è retorica nell’opera prima dei fratelli D’Innocenzo che hanno scritto il soggetto e la sceneggiatura di questo film a soli diciannove anni e poi hanno dovuto cercare fondi per i successivi dieci anni per poterlo produrre.

La forza de La Terra Dell’Abbastanza sta proprio nella maturità/immaturità artistica di due ragazzi appassionati di cinema che vivono in periferia (Tor Bella Monaca e poi Anzio) e riescono a raccontare una storia senza giudizi morali proprio perché sono parte di quella storia, sono i “non attori” di quel palcoscenico che è la periferia e ti fanno capire che certi eventi possono accadere senza se e senza ma, giusto o non giusto.

I ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento e sono la somma, anche, di insegnamenti e guide sbagliati, in questo specifico contesto impersonificati da un Max Tortora incredibilmente in parte che vive in una specie di baracca e gioca alle macchinette come fossero l’unico credo e, l’incidente che coinvolge suo figlio Manolo, lo interpreta come un miracolo pe’ “ levasse dalla me**a” e pe’ “Svortà”.

L’ utilizzo della macchina a mano(tecnica registica che personalmente adoro) che resta incollata spesso a Mirko e Manolo e che con dei primissimi piani rende alla perfezione la chiusura mentale, l’ignoranza e la grave incoscienza, sfociano quasi nel claustrofobico e generano inquietudine e angoscia nello spettatore. Complice anche l’ottima resa figurativa.
Perfetta la scelta dei costumi e del taglio di capelli, la tuta con il doppio taglio o la boccia sono a tutti gli effetti un marchio riconoscitivo dei ragazzi di borgata.
Stesso discorso per la fantastica-desertica “non scenografia” dove tutto quello che c’è sono dei resti di qualche parco-fantasma e dei pachidermi di cemento che negano l’orizzonte e la possibilità anche solo di immaginare un futuro diverso, perché come dice Angelo(Luca Zingaretti) : “ I giovani devono pote’ sognà ”.

Interpretazioni calzanti, non ho travato un cavillo fuori posto(anche nei personaggi di contorno). Forse, Olivetti(Mirko), eccessivamente sopra le righe in alcuni frangenti.

Se la messinscena è una splendida donna allora la sceneggiatura è il tacco a spillo che la rende irresistibile.

Se qualcuno della fazione del Politically Correct si è sentito offeso dall’ eccessivo uso della parola “frocio”, è bene spiegare che in gergo romanesco non è una parola utilizzata solamente come vezzeggiativo per descrivere i gay ma anche(anzi forse maggiormente) come sinonimo della parola “stupido” o meglio ancora “testa di(de) ca**o”.
La crudezza verbale, non di un millimetro lontana dalla realtà, con cui si cerca di avvicinare lo spettatore a far capire come ci si sente non solo mentalmente ma anche fisicamente a vivere li, è racchiusa nel piccolo dialogotra la fantastica Milena Mancini (Alessia, mamma di Mirko) e Matteo Olivetti (Mirko);
” s’è addormita ‘a piccoletta?” le chiede lui,
“si.” risponde lei,
” te ‘gnà fai è?”, le domanda lui,
“certe volte so troppo stanca pe’ dormì.”

In conclusione, se negli USA hanno la splendida trilogia sulla frontiera americana firmata Taylor Sheridan con Hell or High Water(Mackenzie), Sicario(Villeneuve) e I Segreti di Wind River(Sheridan), possiamo dire che anche noi, seppur in piccolo, abbiamo trovato la trilogia sulla periferia romana di cui fanno parte(per mio gusto personale) La Terra Dell’Abbastanza – appunto – , il fantastico Dogman di Matteo Garrone e il pasoliniano Non Essere Cattivo del compianto Claudio Caligari.

PS: Aspetto con ansia il 16 aprile per Favolacce, dei fratelli D’Innocenzo. Vedremo se si confermeranno come promesse del cinema italiano.

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Bel film espresso su criminalità e periferie degradate romane / 3 Novembre 2018 in La terra dell'abbastanza

Bel debutto in regia per i fratelli D’Innocenzo; ottima interpretazione per i giovanissimi attori: Andrea Carpenzano e il debuttante Matteo Olivetti.

Quanta realtà / 15 Ottobre 2018 in La terra dell'abbastanza

Due ragazzi romani entrano in un giro più grande di loro e il loro destino è segnato per sempre.
Uno spaccato della Roma di malavita.
Molta tristezza causata dalla leggerezza delle vite di questi ragazzi.
Seguiti ovviamente dai genitori e amici.
Un film duro ma bellissimo.
Visto in un momento non particolarmente adatto per me ma innegabilmente bello.
Bravissimi i due ragazzi con un Max Tortora sulle righe.
Bello…
Ad maiora!

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Chi si accontenta rode / 9 Luglio 2018 in La terra dell'abbastanza

I fratelli D’Innocenzo esordiscono in maniera deflagrante nel mondo del cinema italiano, scrivendo e dirigendo, a neppure trent’anni, un film sincero, inclemente, doloroso e molto cinico, calibratissimo.

Guardando La terra dell’abbastanza, stupisce da subito la padronanza di mezzi e codici da parte dei gemelli di Tor Bella Monaca. Si dichiarano autodidatti: non hanno mai studiato cinema in maniera accademica. Però, hanno scritto un copione che non sbanda di un millimetro e hanno scelto, preparato e diretto attori giovani ma strabilianti con mano fermissima.
Fin da ragazzini, hanno giocato con le sceneggiature. Prendevano gli script dei film di Kubrick e Scorsese trovati in Rete e li riscrivevano. Si sono allenati come Naoto nella Tana delle Tigri. Per anni, hanno osservato, analizzato, manipolato, destrutturato e sviscerato i generi e i film che preferivano, elaborando -nel frattempo- il soggetto di quello che sarebbe stato il loro lungometraggio di debutto (e collaborando con Matteo Garrone alla sceneggiatura di Dogman).
Il risultato è notevole: il fatto che si tratti di un’opera prima è davvero il valore aggiunto a un film che, a prescindere dall'(in)esperienza dei suoi autori, è decisamente riuscito e fa ben sperare nei lavori futuri (per ora, si parla nientemeno che di un western al femminile).

Come in un film “famigliare” di Cassavetes, c’è un’incredibile intimità fra attori e macchina da presa. Campi strettissimi su volti senza corpi imprigionati in un contesto, quello della periferia romana, asfittico e privo, anche sensorialmente e non solo in termini metaforici, di prospettive. La camera stringe sempre sulle facce degli attori, incrementando il senso di costrizione che perseguita i personaggi. Spazi angusti, degradati, sovraffollati o lunari: i protagonisti del film vivono in un contesto, ben noto agli autori, in cui è complicato perfino avere speranza, da cui si esce grazie al sacrificio di terzi, camminando sui loro cadaveri.

Sulla carta, non solo per il contesto ma anche per via del rapporto di fraternità che lega i due protagonisti, questo film ricorda un sacco di cose: Gomorra, Suburra, le storie di Caligari… In realtà, La terra dell’abbastanza è altro, perché non cita nessuno degli esempi a cui sembra richiamarsi. Resta un film di difficile catalogazione, perché non è esattamente un noir, né un crime tout court. Piuttosto, è una storia di formazione piena di ombre che racconta della caduta imprevedibile in un abisso neppure immaginato, in cui si percepisce una follia (auto)distruttiva illogica e terrificante.

Il finale è una fucilata in pieno petto: “Che fai da mangià?”, chiede il padre di Manolo alla madre di Mirko. “Quello che c’è”, risponde lei. Perché lì, in quei disegni sociali tracciati da mani bizzarre, dove non ci sono punti di fuga, in cui la linea dell’orizzonte resta bassa e quasi affoga in una notte lunga e senza fine, chi si accontenta certo non gode, ma, almeno, sta alla larga dai guai.

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La Terra dell’abbastanza- innocenza e abisso / 8 Luglio 2018 in La terra dell'abbastanza

“Abbastanza” perché contrapposto ad “abbondanza”; la vita degli adolescenti Mirko e Manolo è una vita semplice, senza pretese, modesta. Fin quando non investono per errore un esponente della malavita romana, scivolando in un vortice di panico e senso di colpa che distorce la loro visione del mondo. Spinti dall’avido padre di Manolo a collaborare con i Pantano, famiglia criminale insediatasi nei sobborghi romani, i due ragazzi vengono gettati in un torrente di depravazione che sfocerà dritto in un immenso abisso. Soldi, vizi, frustrazioni, conseguente incapacità di rapportarsi con gli affetti; i due ragazzi perdono la loro genuinità, ed inconsapevolmente abbracciano la via della perdizione. Non avendo idea di dove conduca.

Articolo completo su www.artesettima.it/2018/07/07/la-terra-dellabbastanza-linnocenza-gettata-nellabisso/

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Finale agonizzante e poi interrotto / 4 Luglio 2018 in La terra dell'abbastanza

Film inquietante, come si può pensare che due ragazzi, apparentemente onesti, si prestino, letteralmente dall’oggi al domani e senza mai aver usato una pistola, a commettere un omicidio come se fossero due sicari professionisti? Fortunatamente è solo un’ipotesi filmica, nella realtà le persone oneste queste cose non le fanno, per farle devono essere già dei criminali. Il finale si dimostra molto claudicante fin da 10 minuti prima della fine del film, ovviamente non voglio anticipare nulla, ma da una certa scena in poi io avrei preferito che il film finisse senza ulteriori sviluppi, questo finale lungo si è dimostrata una agonia che era meglio risparmiare allo spettatore, per non parlare del finale vero che sembra che sia mancata la corrente al cinema, cosa che potrebbe anche essere, ma non saprei davvero.

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