ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama
La stanza di Stefano Lodovichi è un ambizioso thriller psicologico con sfumature smaccatamente horror in cui mi è parso di cogliere suggestioni provenienti da diversi precedenti cinematografici.
In particolare, dai film Una pura formalità di Tornatore e Babadook di Jennifer Kent. Lo so che si tratta di film molto diversi fra loro, ma mi è sembrato che Lodovichi abbia provato a coniugare il versante onirico (e piovoso!) dell’uno e il tema della maternità “impura” dell’altro.
Il risultato non è affatto male, anche se, per via di alcune scelte, non mi ha convinta fino in fondo (ho intuito troppo presto il “segreto” di un film che, comunque, non è molto convenzionale).
Di sicuro, è un interessante tentativo di battere quei terreni narrativi di genere che, ribadisco ancora una volta, in Italia sono davvero ben poco considerati dai produttori (perché ho l’impressione che di autori che propongano soggetti originali di questo tenore ve ne siano a iosa). In questo senso, penso che la Lucky Red di Occhipinti, casa di produzione e di distribuzione del film (pubblicato in esclusiva su Amazon Prime Video) si sia dimostrata coraggiosa, nel voler puntare, come primo film in listino del 2021, su un titolo del genere.
Con La stanza, Lodovichi entra -letteralmente- nella psiche di un soggetto disturbato, mescolando con astuzia visioni, deliri e (presunti) paradossi temporali in quello che potrebbe essere tranquillamente considerato un giallo da camera (al di là del titolo! Titolo che, ovviamente, va oltre il significato letterale, corrispondente a un elemento fondamentale della narrazione, per diventare metafora della condizione mentale del protagonista).
A supporto di questo viaggio psicoemotivo, la spiegazione del finale de La stanza potrebbe perfino non essere univoca (come dimostra l’ipotesi del mio compagno di divano, diversa da quella che supporto io, ma comunque, a suo modo, credibile), dimostrando l’aleatorietà delle presunte certezze della mente umana e di come sia semplice ingannarla (nel regno della cinematografia, per esempio, basta un sapiente montaggio).
Ritengo che, per quanto siano tutte ipotesi assurde (secondo quella che riteniamo sia la “normalità” legata a precisi fenomeni fisici), ne La stanza possano coesistere almeno 3 finali cinematograficamente plausibili:
1. Giulio adulto (Caprino) viaggia nel tempo, per evitare che Stella (la Filippi) si uccida, condannandolo a una vita triste e dolorosa. Infatti, quando la madre abbraccia Giulio bambino e gli dice che gli vuole bene, come Giulio ha sempre desiderato, Giulio adulto scompare, letteralmente, come se il corso degli eventi fosse stato modificato e “quel” Giulio adulto non fosse mai esistito;
2. tutto avviene nella mente di Giulio adulto che, dopo aver ucciso il fratellastro Alex, la madre del ragazzo Linda e il proprio padre Sandro (Pesce), si rende conto di cosa ha fatto e di come la sua vita sia stata rovinata dall’amore esasperato e cieco di Stella per Sandro. Giulio adulto (forse,in fuga; forse, in arresto; ecc.) è imprigionato dentro la propria testa, come la madre di Norman Bates di Psycho nella mente del figlio;
3. tranne la scena dell’abbraccio (che si svolge sul serio), tutto avviene nella mente di Giulio bambino, che immagina come potrebbe essere la sua vita, se le cose non cambieranno, per lui e la madre, e ha una crisi isterica a cui Stella prova a mettere fine, dopo aver compreso che il bambino ha bisogno del suo affetto.
Io, per esempio, sostengo l’ipotesi 2. E voi?
Per caso, ne avete altre in mente? Parliamone.
Per quanto riguarda gli attori, ho ritenuto le loro prestazioni convincenti solo a tratti. Ouh, quasi non riconoscevo Guido Caprino senza baffi. A dispetto del ruolo pienamente drammatico, sono rimasta abbastanza indifferente nei confronti dell’interpretazione di Camilla Filippi. Edoardo Pesce senza infamia né lode (anche perché il suo personaggio non fa granché).
Interessante la fotografia funerea di Timoty Aliprandi. Non mi ha convinto la scenografia (che, comunque, presenta peculiarità architettoniche e d’arredo decisamente evocative, basti pensare alla scala ellittica con vetrata policroma che fa subito Suspiria…).
A latere, mi piacerebbe che, un giorno, il cinema italiano facesse pace con il sonoro in presa diretta, perché non si può fare (praticamente sempre) una faticata a capire cosa dicono gli attori.
Sei stelline e mezza.
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