Recensione su La mia droga si chiama Julie

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Cangiante / 2 Marzo 2018 in La mia droga si chiama Julie

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

(Riflessioni sparse)

A dispetto dei temi profondamente appassiona(n)ti che Truffaut trattava nei suoi film, talvolta i suoi lavori sembrano dominati da una curiosa asetticità delle interpretazioni che, per quel che mi riguarda, però, mi paiono puntualmente funzionali all’estetica generale, intesa anche in ottica narrativa.
Spesso, le sue storie sono così estreme e, come in questo caso, fantaromantiche da necessitare di interpreti quasi statici, che ricordino allo spettatore che ciò che sta guardando è una sorta di astrazione, che -parbleu- è pur sempre cinema.

La Deneuve, in questo senso, è perfetta. La sua recitazione è sempre stata impersonale, dominata da una naturale alterigia, per cui a lei si chiede solo di esistere, di essere la Deneuve, di impressionare -letteralmente- la pellicola. In questo caso, anche Belmondo è particolarmente statico, ma non sono rari i momenti in cui un’insolita frenesia lo rapisce, come nella scena in cui guida l’auto sconsideratamente, con gran rotear di volante, per raggiungere la banca, certo della truffa messa in atto da Julie/Marion, oppure quando, senza particolare preavviso (e, soprattutto, senza controfigura) inizia a scalare a mani nude la facciata di un palazzo.

Il film mi è piaciuto per via della sua natura cangiante. Un attimo è dramma romantico, poi thriller psicologico (con tanti ringraziamenti a Hitchcock), poi commedia on the road, poi, ancora, dramma à la Pasternak, così, in mezzo alla neve e allo squallore di un capanno gelido che sa di steppa (che il personaggio della Deneuve, romanticamente accecata, non esita a definire: “Però, era bello”), con un folle folle folle sentimento (lo stesso amour fou di Adele H., per esempio) che consuma e perde definitivamente i protagonisti. Apprendo dal libro Truffaut al lavoro che proprio la scena finale richiama volutamente un altro film, La grande illusione: non a caso, come si apprende dai titoli di testa, Truffaut ha dedicato La mia droga… a Jean Renoir.

Dopo qualche minuto di visione, mi sono detta: “Possibile che abbia visto questa stessa storia ambientata nell’Ottocento, interpretata da Banderas e dalla Jolie?”. Sì: si tratta del (discutibile) film Original Sin.

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