Recensione su La promessa dell'assassino

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3 Giugno 2011

E’ un bel film, ma preferivo a History of violence. E’ migliore questo dal punto di vista delle riprese, sia per le inquadrature riservate ai corpi, che sono classici e classicamente ripresi, Cronenberg è sempre controcorrente, sia per un insistito studio dei colori, il film mi sembra metallico. Ma appunto la sceneggiatura è davvero approssimativa in più punti.
A me è sembrato un omaggio rivisto e corretto all’oggi del padrino di Coppola, ossia senza la liturgia e il fascino che emana quel personaggio, ma con l’aggiornamento della violenza, della brutalità che sembrano oggettivamente infinite.
Armin Muller Sthal mi sembra che sia costruito con quell’immaginario, il capo anziano, ripreso nel suo regno innocuo (c’è il dominio della sua presenza nel locale che è indiretta ma imperiosa e lui esce solo una volta da quel luogo, tutti vengono a lui), dominus equilibrato, fra cene di famiglia infinite, con la discendenza pulita da mostrare e coccolare, padre padrone, con un figlio instabile, incapace e inadatto. Solo che non c’è un filo d’etica, anzi, egli è direttamente, carnalmente coinvolto nella turpitudine dei suoi affari, perchè appunto per Cronenberg il corpo è tutto.
E la ovvia e grossa differenza fra i due (a parte il livello qualitativo) è la costruzione della figura di Sthal, che mi sembra la spoliazione del mito. Brando era puro fascino, una figura che mette soggezione, ma che è sicuramente ambigua, ammettiamolo.
In Cronenberg il padrino non ha aura, o meglio ce l’ha, il potere illimitato, la capacità di manipolare le persone, l’indiscussa potenza famigliare, il linguaggio, ma contemporaneamente ne viene privato, si rompe il giocattolo, è più abietto del figlio, perchè consapevole pienamente, è corrotto e sommerso dai suoi traffici in prima persona, ne è partecipe non solo moralmente, ma con tutto il suo corpo.

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