Recensione su La profezia dell'Armadillo

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Cresceranno i carciofi a Rebibbia / 18 Dicembre 2018 in La profezia dell'Armadillo

ATTENZIONE su indicazione dell'autore, la recensione potrebbe contenere anticipazioni della trama

La profezia dell’armadillo è l’esordio alla regia di un lungometraggio di Emanuele Scaringi, nonché adattamento cinematografico dell’omonimo albo (e di altri contenuti) del disegnatore Zerocalcare (che ha partecipato alla sceneggiatura). Si tratta di una tragicommedia italiana che, ancor più che nel filone di successo “sul precariato” à la Smetto quando voglio e Tutta la vita davanti, sembra provare a inscriversi nel solco più (se possibile) generazionale tracciato anni fa da film come Tutti giù per terra di Davide Ferrario, Santa Maradona di Marco Ponti o Cresceranno i carciofi a Mimongo di Fulvio Ottaviano (che pure parlavano di lavoro instabile e mancanza di prospettive, senza peraltro farne il fulcro narrativo esclusivo del racconto). Quando era poco più che un pischello, Valerio Mastandrea è stato il volto di alcuni di questi film, perciò non mi stupisco di ritrovarlo alla co-sceneggiatura de La profezia… (inizialmente, avrebbe anche dovuto dirigere il film).

Il protagonista de La profezia… è Zero (bravo Simone Liberati), un ragazzo di Rebibbia polemico e sincero che cerca di vivere in sintonia con i propri principi morali e sociali. Più che sull’incertezza della sua condizione lavorativa, il film e, ancor prima, il materiale d’origine, si concentrano sulle idiosincrasie e sulle difficoltà tragicomiche di Zero a rapportarsi con una società di tipo capitalistico. Fieramente proletario, Zero cerca di scendere a pochi compromessi. La sua radicalizzazione, però, comporta (e, forse, si origina anche da) ansie e paranoie, che si concretizzano nell’Armadillo (Valerio Aprea, intabarrato e, perciò, irriconoscibile, dentro un’armatura di corrugato elettrico opportunamente colorato), un animale parlante e vagamente antropomorfo che vive con Zero nel suo appartamento.

Il film di Scaringi è una buona messinscena, che vive di almeno un paio di momenti davvero felici soprattutto grazie alle interpretazioni di Liberati e Pietro Castellitto (Secco), quest’ultimo dotato di una presenza scenica dinoccolata e cartoonesca perfetta per un ruolo di questo tipo. A proposito degli attori, brava anche la Morante, benché compaia in poche sequenze. Non pervenuti, invece, la Pandolfi, la Smutniak, un roco Gianluca Gobbi.

Il difetto più grosso del film, che in questa sede non mi fa andare (ahimé) oltre la sufficienza, è principalmente di tipo tecnico. Può sembrare banale, ma il sonoro in presa diretta combinato all’uso (assolutamente necessario) della parlata romanesca (che pure mi fregio di comprendere quanto basta) mi hanno impedito di intendere buona parte dei dialoghi. Non mi piace sforzarmi di capire quel che dicono gli attori. Vada per la naturalezza, per la spontaneità, ma mi sono persa interi brandelli di dialoghi (Aprea, a fronte della sua correttissima dizione, è penalizzato dalla maschera dell’Armadillo, per esempio).
In più, mi è sembrato che alcune situazioni siano state trattate in maniera troppo scontata, cioè come se lo spettatore debba aver chiaro a prescindere un certo contesto o certi elementi della storia per capire davvero ciò che sta vedendo sullo schermo. I film italiani degli anni Novanta che ho citato più su, a cui La profezia… si affratella, mi pare avessero questo pregio, fra gli altri: definire un certo contesto sociale anche a un pubblico che non gli è propriamente avvezzo.

Altro punto a sfavore: la Rebibbia del film è una periferia poco caratterizzata, è un luogo praticamente neutro che, al di là del dichiarato senso di appartenenza al luogo del protagonista, non si capisce bene -a livello cinematografico- come possa essere a tal punto incisiva, con i suoi problemi e i suoi elementi di vario colore.
Insomma, qui c’è qualcosa che zoppica a livello di sceneggiatura, il che non è, per me, particolarmente piacevole.

Nota a latere da vera pedante: benché il loro contenuto sia narrativamente importante, le sequenze animate sono tecnicamente incerte e quella sul G8 poco si lega alla storia raccontata nel film, giusto per ribadire la scontatezza di alcuni dettagli. Chi conosce Zerocalcare sa che ruolo ha avuto quell’evento nella sua vita. Chi non lo conosce o non è informato a sufficienza non coglie i vaghi accenni che ne vengono fatti nel corso del film (vedi anche le fuggevoli riprese di Genova fatte dal treno). Nello specifico, la ricostruzione animata relativa ai fatti del 2001 sarebbe stata più utile (forse) se, per esempio, nel montaggio finale, oltre a quella con gli spazzini, fosse stata inserita anche una scena eliminata (quella con la Forestale al semaforo), presente nei contenuti extra del dvd.
A proposito di animazioni, mi è sembrata riuscita, invece, la resa del vfx della fumosa “paranoia” di Camilla.

Ultima appendice: una curiosità. I Know the Monster, una delle canzoni originali inclusa nella colonna sonora de La profezia dell’armadillo, è scritta e interpretata da Nic Cester, frontman della band australiana dei Jet.

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