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La prima notte di quiete

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43 anni sono tanti / 23 Luglio 2015 in La prima notte di quiete

Visto a 43 anni dalla prima uscita si notano tante cose che magari a quel tempo sarebbero sfuggite. Il professore fuma dappertutto, anche in classe, e pure gli studenti. Oggi nel 2015 fortunatamente è inconcepibile, ma immagino che vi siano ancora degli spazi, per modo di dire, ancora non legalizzati.
Nel film c’è un’aria autodistruttiva fin dall’inizio, sembra che non si possa fare a meno di fumare sigarette, assumere sostanze o giocare d’azzardo, bisogna necessariamente trasgredire, a tutti icosti. Forse c’è pure una forma di pubblicità occulta per determinate marche di sigarette.
Un clima di autodistruzione permea in misura crescente il finale, il film è relativamente pesante e il fatto che debba finire necessariamente male è quasi scontato.
Troppo ovvio appare il finale quando si vede il professore che guida senza rispettare i semafori.

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Il mare d’inverno. / 30 Giugno 2014 in La prima notte di quiete

Zurlini è un altro di quei registi troppo poco citati quando si parla di bel cinema italiano.
I tempi dilatati che ho riscontrato sovente nelle pellicole da lui dirette viste finora, con situazioni ampie eppure soffocanti per via delle tante cose che vi accadono e delle molte persone coinvolte in ciascuna parentesi di racconto affrontata, sono un’interessante cifra stilistica , un leitmotiv distintivo in grado di accrescere con originalità il pathos narrativo.

Ne La prima notte di quiete, ogni quadro affrontato dalla sceneggiatura contribuisce con precisione chirurgica a definire aspetti via via inediti dei vari personaggi, arricchendone la storia personale, rendendoli sempre più credibili agli occhi dello spettatore.
Zurlini costruisce tutti i personaggi come se si trattasse di individui realmente esistente, come se fossero in perenne divenire: fino all’ultima sequenza in cui essi compaiono, nessuno di loro è definitivamente costituito e, anzi, svela progressivamente segreti e dolori.
Si tratta, infatti, di una storia particolarmente drammatica che, come Estate violenta, ruota intorno ad un perno romantico come quello dell’amore variamente osteggiato.
Qui, la turpitudine e la morbosità delle vicende è comunque stemperata da una certa eleganza formale, da una insistente bellezza di corpi, volti ed ombre, da una ricercatezza nei dialoghi che, benché sfruttino anche il turpiloquio, non risultano mai totalmente gratuiti. Ho apprezzato decisamente questa atmosfera à la Scerbanenco, così simile al versante rosa della sua produzione che non mi sarei stupita di trovare il suo nome tra i crediti del film.

Interessante e riuscita la scelta di ambientare la vicenda in una Rimini invernale, livida, in cui il mare scuro ed il cielo plumbeo generano pura angoscia e male di vivere.

A tratti, ho trovato particolarmente manierata la recitazione di Delon, eccessivamente indolente in troppi passaggi (non appoggia le cose, ma le getta; non si veste, ma si copre, ecc.), ma, nel complesso, la prova degli attori è decisamente buona: da Renato Salvatori (tristemente imbolsito, ma con un viso dolente da manuale) a Giancarlo Giannini, da Lea Massari ad un’Alida Valli (da me) riconoscibile praticamente solo grazie ai suoi fantastici occhi (chissà come mai, cammin facendo, in età matura, le sono stati riservati quasi sempre ruoli da vecchia megera).

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