Opera prima / 3 Novembre 2016 in La pelle dell'orso

Marco Segato, regista del film, è alla sua prima opera di finzione, mentre pregressa ha una formazione (ma anche una carriera non troppo lunga) di documentarista. “La pelle dell’orso” è l’occasione per Segato di impostare una poetica cinematografica, non scordandosi di preservare quel docu-sguardo che gli permettere di creare una giusta alchimia tra sviluppo e descrizione della trama.
Negli anni cinquanta, in un piccolo villaggio nascosto tra le dolomiti, un uomo rude e malvoluto dalla comunità di nome Pietro (un roccioso e bravo Marco Paolini) convive con un figlio appena adolescente in maniera distaccata, qualche volta facendo riemergere solo un aggressivo autoritarismo. Un giorno il “diaol” (un orso bruno) riappare dopo tanto tempo maciullando un vitello in una stalla, e subito riemerge lo spettro di un mostro che si pensava scomparso. La comunità, in agitazione, è in cerca di un rimedio, quando Pietro si offre volontario per cacciare e uccidere l’orso. La comunità non oppone troppa resistenza, e Pietro si incammina con in groppa una scommessa quasi impossibile da vincere. Il figlio, accortosi della dipartita del padre, andrà in cerca di lui…
La pelle dell’orso è indubbiamente un film d’autore, che non vuole però dimenticarsi di essere anche un film d’avventura, un “western sulle alpi”, come piace identificarlo al regista e ai protagonisti. Un western, si, per quanto strano possa sembrare, perché creato da accelerazioni e rallentamenti tipici del genere, ed un contatto con la natura circostante che pregiudica la libertà dei protagonisti, essendo quindi di per sé inscindibile dallo svolgimento dei fatti. Poi c’è un rapporto complesso tra padre e figlio, in relazione alla caccia all’orso, che diverrà una parabola per conoscere se stessi e l’altro, nella lotta contro i demoni reali o interiori. Tutto è costruito sapientemente, donando dignità e spessore ad ogni personaggio in un contesto alpino descritto e sentito come vero, tangibile. L’unica pecca, che potrebbe essere anche un pregio, è la volontà di non spingersi più di tanto in là, evitando di scavare troppo profondamente nei sentimenti e nei contrasti tra i protagonisti. C’è molto di non detto, e se è vero che questo crea mistero e porta al realismo, d’altro canto lascia un certo senso di insoddisfazione. Un’opera prima comunque apprezzabile.

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